l sostituto Procuratore generale della Procura di Messina, Felice Lima, ha detto: "sentenza assolutoria di primo grado stupefacente" ed ha, in pratica, reiterato le richieste di condanna formulate in primo grado. Nuovo temuto percorso giudiziario per l'ex sindaco di Messina Cateno De Luca, che ora affronta questa vicenda da parlamentare regionale. Si è dunque aperto Appello il processo di secondo grado per la presunta evasione fiscale da un milione e 700mila euro di quella che può essere considerata come la “sua creatura”: la Fenapi e la relativa diramazione Caf-Fenapi. La Procura ha infatti appellato la sentenza assolutoria di primo grado. Il Procuratore generale Felice Lima, ha chiesto tre anni e due mesi di reclusione per l'ex sindaco, per la denuncia a suo tempo formulata dalla guardia di finanza dopo un’indagine sul patronato nazionale Caf Fenapi. In Aula si è tornati a dibattere in seguito alla decisione della Procura di fare ricorso alla sentenza pronunciata lo scorso gennaio in Corte d'Assise. La ntenza è già prevista per il 19 dicembre prossimo, inoltre, così come in primo grado, chiesti due anni per i collaboratori Carmelo Satta, all'epoca dei fatti Presidente della Fenapi e per il commercialista Giuseppe Ciatto. Poi l'arringa della difesa rappresentata dagli avvocati Carlo Taormina ed Emiliano Covino. Invece il 19 dicembre, giorno in cui è prevista la sentenza, prenderà la parola l'avv. Giovanni Mannuccia che si era opposto alla richiesta di riapertura dell'istruttoria dibattimentale. In relazione al lungo e complesso iter giudiziario di questa vicenda va ricordato che nel luglio 2017, cadde l’accusa di associazione a delinquere, che pure era stata formulata nella prima fase istruttoria e rimase in piedi a carico degli imputati, a vario titolo, il solo reato di evasione fiscale, per un milione e 750mila euro. Si sono registrati momenti di tensione assolutamente singolari tra accusa e difesa in un passaggio, con il pg Lima che, durante la sua requisitoria, ha chiesto al Presidente della Corte Bruno Sagone di verbalizzare una frase da lui ritenuta offensiva pronunciata dal prof. Carlo Taormina che avrebbe detto “che cazzo sta dicendo”. Taormina ha poi precisato, scusandosi, di essersi rivolto ad un collega e non alla pubblica accusa. Episodio indice di un notevole nervosismo degli ambienti deluchiani, perché una eventuale condanna determinerebbe non solo una battuta d’arresto per la sua inarrestabile carriera, ma difficilmente potrebbe continuare ad etichettare i suoi avversari come “banda bassotti” senza ricevere adeguate risposte.