In un momento particolarmente tormentato dell’umanità, devastata da spaventosi conflitti e attraversata da inarrestabili impulsi alla violenza, cercare consolazione nell’arte e nella bellezza può apparire come un edonistico ed inutile esercizio. Eppure bisogna pur sempre sperare nel ravvedimento del genere umano e cogliere qualche occasione che non sia solo di protesta (o peggio di cruda vendetta) ma che lanci messaggi di pace e fratellanza.
Non a caso il teatro Massimo Bellini ha voluto avviare la sua Stagione Sinfonica 2023/24 affidando il suo messaggio a quella che può essere considerata la più grande creazione umana rivolta a tutti gli esseri in un anelito di pace, di comprensione e di fratellanza. Stiamo parlando, naturalmente di quell’immenso capolavoro che è la Sinfonia n.9 in re minore, op.125, per soli coro è orchestra di Ludwig Van Beethoven suggellata, alla fine del quarto movimento dall’inno alla gioia di Friedrich Schiller. Certo inaugurare la stagione con la Nona è anche un’operazione che sa di ripetitivo (l’ultima volta risale ad appena tre anni fa, il 2020, con la direzione del compianto Gianluigi Gelmetti) e, vista la popolarità della composizione beethoveniana, si presta a tutti i possibili confronti di questo mondo; da un lato sottende ad una scelta di natura popolare che mira a riempire il teatro (è questo è puntualmente avvenuto in entrambi i turni del concerto), dall’altro deve essere corroborato da una interpretazione che lasci il segno!
L’esecuzione è stata affidata a Eckerard Stier, attuale direttore ospite principale dell’Orchestra del Bellini, il quale è salito più volte sul podio del teatro etneo e ci si aspettava quindi una concertazione particolarmente accurata perché, proprio per le opere più conosciute ed amate, non si può proporre una versione che si limiti alla lettura di routine. Spiace dover affermare che l’interpretazione della nostra orchestra, del coro e dei solisti, guidati dal direttore di Dresda, non ci ha entusiasmato come avremmo voluto, non ha scosso più di tanto le corde emozionali che sottendono la gioia dell’ascolto. Ciò al netto del successo complessivo da parte di un pubblico che sembra sempre più ‘accontentarsi’ di quanto viene proposto, basta che sia conosciuto e popolare. Non che l’orchestra non abbia svolto il suo compito con professionalità, ma non si coglieva la ricchezza delle sonorità di cui è colma la partitura così come la varietà dei piani sonori, specie nelle alternanze e progressioni dei momenti contrappuntistici o il cesello delle famiglie strumentali nei momenti dinamicamente più contenuti. Anche il coro (istruito da Luigi Petrozziello) è apparso più opaco del solito e, oltretutto, tendeva ad ‘inghiottire’ i passi dei quattro solisti, il soprano Chiara Notarnicola, il contralto Elena Belfiore, il tenore Valerio Borgioni ed il basso Alessandro Abis, i quali stentavano ad emergere dal flusso sonoro del coro che li conteneva.
I pur generosi applausi finali del pubblico non erano sufficienti a riscattare il valore complessivo della prestazione, cui mancava il colpo d’ala verso il cielo.