Se ogni poesia è, per così dire, ribelle al suo tempo per profezia o per rimpianto, quella degli autori siciliani del ‘600 esacerba ed esalta al massimo grado tale ribellione.
Non si tratta soltanto di una mera affermazione, ma di una vera e propria constatazione, di cui possiamo avere contezza grazie a un imponente lavoro di ricerca, mediante il quale sappiamo che la Sicilia è sempre stata terra di spiriti geniali e folli, di artisti e poeti, e come le vite di alcuni di essi siano state marchiate dal fuoco della sofferenza e dalla privazione di libertà.
Si potrebbe dire che l’Isola fu un luogo di “Eretici Avventurieri e cospiratori”, come recita il titolo del nuovo libro di Alfio Patti (Algra editore), un lavoro che non è soltanto un tentativo di rintracciare costumi e modi di vita lontani dal qui e ora, immerse in un altrove quasi archetipico, ma di scoprire una realtà sconosciuta, riportata alla luce dalla capacità di ricerca storica e filologica dell’Autore.
Il libro di Alfio Patti nasce da uno studio approfondito del Seicento siciliano, secolo nefasto e scuruso per tutti, ma soprattutto per gli intellettuali del tempo, anche per effetto della forte pressione dell’Inquisizione, che nell’Isola agiva con pesante azione fustigatrice.
L’indagine storica dell’Autore ha riportato alla luce otto poeti dimenticati e sepolti sotto la coltre del tempo; autori colti -giureconsulti- che erano anche avventurieri e spadaccini e avevano in comune vicissitudini, galere e dissolutezza.
Il fil rouge che li unisce è la loro vita spericolata e temeraria: tutti sono stati rinchiusi allo Steri e alla Vicarìa di Palermo, e nelle loro opere raccontano vicende dolorose, narrano di carceri e carcerieri corrotti, delle vessazioni che subivano, dell’ingiustizia che regnava sovrana, e della giustizia che era una parola vuota di significato, ma anche della condizione fisica dei luoghi con descrizione delle celle, dei dammusi, della mancanza di cibo, di acqua, della sporcizia e soprattutto della solitudine.
Alfio Patti non si limita a riportare notizie sulla loro condizione facendo parlare direttamente gli otto poeti, si spinge fino all’analisi linguistica, stilistica e formale della loro poesia, evidenziando come questi poeti si siano espressi su diversi registri letterali, che vanno dal classico al lirico al civile al politico e al burlesco.
Le opere dei poeti narrati da Alfio Patti sono in lingua siciliana colta - nutrita della conoscenza letteraria dei grandi poeti del Cinquecento e del Seicento-, padroneggiata con grande abilità e sicurezza, che richiama gli stilemi in uso a quel tempo; si tratta di autori che si dilettano in immagini fiorite, in giochi di parole, in calembour e in tutto ciò che costituiva la poesia seicentesca. L’opera di riportarli alla luce tenta di colmare un grosso buco nella cultura media nostrana, poiché in Sicilia si è come passati dalla poesia in lingua volgare, nata alla corte di Federico II, alla letteratura ottocentesca di Verga e Capuana. Una voragine di sei secoli su cui nessuno ha mai sentito l’esigenza di indagare seriamente. E invece, come ormai noto, sono stati tanti i poeti in lingua siciliana che si sono adeguati alla letteratura nazionale, si pensi alle produzioni in ottave, sull’esempio di Ludovico Ariosto e Torquato Tasso, e a quella in terzine sull’esempio di Dante.
A margine di tutto ciò va ricordato che il Seicento in Sicilia fu un secolo particolarmente duro: ci furono quattro rivoluzioni, oltre a carestie e pestilenze, che procurarono sommosse e congiure; poi l’eruzione dell’Etna nel 1669 e per chiudere il terremoto del 1693, che sbriciolò il territorio della fascia orientale dell’Isola. Non v’è dubbio che fu un periodo buio e critico, eppure, nonostante le vicissitudini, gli uomini credevano nella forza della parola.
L’opera di Alfio Patti ha il merito di aver trattato questi temi con leggerezza e con grande profondità, e di aver recuperato il canto e l’incanto di una poesia che la cultura moderna sembra aver perduto.