Non ebbe molta fortuna la prima di ‘Liolà’ di Luigi Pirandello, messa in scena dalla Compagnia Angelo Musco il 4 novembre 1916 al teatro Argentina di Roma, anzi a dirla tutta fu un esordio addirittura burrascoso, ‘bocciato’ soprattutto dagli intellettuali di area cattolica che ritennero la commedia oscena. Tra i pochi a tesserne le lodi fu invece Antonio Gramsci con una recensione pubblicata sull’edizione torinese dell’Avanti del 4 aprile 1917 all’indomani di una replica avvenuta ancora con insuccesso.
Gramsci, che reputò Liolà “il prodotto migliore dell’energia letteraria di Luigi Pirandello”, attribuì l’insuccesso del terzo atto a ragioni estrinseche: “Liolà non finisce secondo gli schemi tradizionali, con una buona coltellata [che provocasse la morte, n.d.r.] o con un matrimonio, e perciò non è stata accolta con entusiasmo; ma non poteva finire che così come è, e pertanto finirà con l’imporsi.”
E torniamo all’oggi. Il teatro della Città ha inaugurato l’annuale stagione teatrale al Brancati con una particolare rilettura di Liolà dovuta all’adattamento e riduzione di Mario Incudine, Moni Ovadia e Paride Benassai. In realtà è quindi espresso chiaramente che si tratta di qualcosa di ‘altro’ rispetto al lavoro pirandelliano; cambia anche il genere perché non più di Commedia si tratta ma di Musical. Era quindi inevitabile che lo spirito e il disegno pirandelliano venissero ‘piegati’ a gusti ed esigenze diversi anche, e soprattutto, sul piano ideologico. Dell’ambientazione vagamente verghiana immaginata da Pirandello, di quel mondo rurale in cui convive la bramosia di ‘roba’ di Zio Simone con la gioia di vivere del giovane Liolà in armonia con la natura ( e con tutte le fanciulle del luogo), resta ben poco o meglio. I personaggi sono invece resi, come in una favola, delle marionette costrette a vivere la loro parte. La componente musicale, che in Pirandello è comunque ampiamente suggerita, diventa la cifra risolutiva dello spettacolo e va ben oltre. Se Mario Incudine con le sue composizioni originali e sanguigne, guidate dalla sua carismatica voce, attraversa l’intero spettacolo (di cui è anche regista, insieme a Moni Ovadia, e scenografo) la presenza ed inventiva dell’attore palermitano Paride Bellassai fa pensare ad inserti da avanspettacolo cui il suo personaggio ‘inventato’ e aggiunto, Pauluzzu ‘u fuoddì, propina pillole di saggezza folle e scioglilingua linguistici (in puro palermitano) che suscitano profonda ilarità (si pensi alla scenetta dei ventagli sui petti delle donne in chiesa) ‘ragionando’ anche sul concetto di tempo e morte. Si, perché alla fine Incudine e Ovadia, in pura scelta da melodramma popolare e in aperta contrapposizione con la scelta di Pirandello, fanno morire Liolà accoltellato da Tuzza, in barba anche alla profezia di Gramsci.
Al di là di confronti ed originalità, il Musical possiede una vitalità che fa funzionare tutto l’impianto scenico tenendo in spensierata allegria il pubblico, grazie alle belle musiche di Incudine che coinvolgono l’intera compagnia con l’ausilio in scena dei musici Antonio Vasta alla fisarmonica e Denis Marino alla chitarra. Angelo Tosto è stato un ombroso e burbero Zio Simone (la parte che fu di Moni Ovadia nella ìprima’ del teatro Biondo a Palermo nel 2018) mentre alla palermitana Rori Quattrocchi era affidato il tenero ruolo della madre di Liolà che accudisce con consumata saggezza di nonna i tre figlioletti del protagonista. Olivia Spigarelli, Zà Croce, è la spigolosa guida delle ragazze costituito da Aurora Cimino (Tuzza), Graziana Lo Brutto (Mita), Lorenza Denaro, Federica Gurrieri, Irasema Carpinteri e Rosaria Salvatico. Valentina Caleca, Emilie Beltrami, Emanuela Ucciardo, Chiara Spicuglia e Flavia Papa rappresentano il ‘coro’ delle popolane.
Spettacolo di successo per un’apertura da ‘tutto esaurito’.