C’è contiguità tra il calcio e la politica?
Abbiamo elementi per una risposta affermativa.
Per non allontanarci dall’orto di casa, mettiamo sul tavolo del confronto il Catania calcio.
Milita in una serie inappropriata per il blasone della società etnea.
Ma ha subito indossato la maglia dell’umiltà e si è adeguata alla “serie” di appartenenza.
Dall’inizio del campionato non conosce sconfitta, distanziando di ben dieci punti la seconda.
Quali gli ingredienti?
Società seria, panchina lunga, spogliatoio coeso. Considerate ora il governo che viaggia con prudenza e saggezza come si conviene alle coalizioni.
Il capitano, il Premier Giorgia Meloni, misura parole e persino gesti, perché sugli alberi che circondano palazzo Chigi, la Camera e il Senato, è appollaiata una nidiata di gufi, giornalisti e avversari politici, che non perdono occasione di contestazione: persino il colore degli abiti indossati dal Presidente del Consiglio.
Avendo perso il rispetto per l’accanimento becero a volte, esagerato quasi sempre, raramente serio e costruttivo, non ci resta altro augurio; che continuino nell’operazione attacco senza quartiere, visto che i sondaggi riferiscono cascata di consensi per il centro destra e, in particolare, per la sua guida.
Con punte, però, di pericolosità istituzionale. Giuseppe Conte che non finisce di rimuginare per la perdita del ruolo di Premier, in ordine al reddito di cittadinanza censurato dagli avversari ora maggioranza e governo nazionale, con l’obiettivo di moralizzarne la portata, rispettando però le fasce più umili e vulnerabili, ma rivedendo la misura quando essa appare disincentivante, almeno per il gusto del lavoro, come cifra di elevazione sociale, e spesso come misura impropria per pregiudicati e possessori di auto di grossa cilindrata, cifra offensiva, pagata dal contribuente, e, soprattutto in danni dei meritevoli dell’aiuto di Stato.
Conte, che a Catania, davanti al Gip diede indimenticabile prova di sé, nel processo poi favorevole a Salvini per il reato di sequestro di persona, difendendosi dalla mancata familiarità con gli “istituti” penalistici del concorso di persone nel reato, si definì un civilista, che aveva detto prima “fesserie”.
Non essendo consentito che un docente universitario di materie giuridiche, ignori fattispecie di reato di conoscenza persino dal più negligente studente, non potendosi più nascondere dietro una svalutativa ignoranza col diritto di ricorrere alle “fesserie”, per diversità di materia, al nominato consigliamo con serena fermezza a non insistere nell’avvertimento di inevitabili reazioni sociali in materia di revisione dell’istituto e perché quel linguaggio è parente prossimo della “istigazione”, il fiammifero cioè sulla benzina.
Presidente Conte riveda l’istituto codicistico, e se crede si adegui. Non ci sarà alibi per le “fesserie”.
Perché lei non tenti la figura dello smemorato, il particolare si è verificato all’udienza del 28.1.2021, pag. 13, rigo V°. Basta?
O è aduso alle “fesserie”? Non ci credo.
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