Il finale d’anno ci consegna ancora due opere per completare il cartellone 2024 della stagione lirica del Bellini, Rigoletto di Verdi e La Gioconda di Ponchielli, prima di avviare quella nuova del 2025 con il trionfale ritorno di Vincenzo Bellini per l’inaugurazione (Norma).
Rigoletto è un titolo particolarmente gettonato a Catania ma non mancano gli affezionati e fedeli fruitori che, ad ogni nuova riproposta, riempiono il teatro. Eppure a scrutare tra il pubblico non è che si osservi un gran ricambio generazionale; possibile che si abbia questa frenesia di vedere e rivedere quanto già si conosce, ancora e ancora…
Lo spettacolo (ri)proposto presenta lo stesso allestimento utilizzato tre anni fa al teatro Antico Taormina, fatti salvi, naturalmente, gli opportuni aggiustamenti per la traslazione da teatro all’aperto a teatro al chiuso.
L’allestimento utilizzato è stato quanto di più tradizionale sia possibile, nel più puro rispetto della scena lirica dell’Ottocento. Quasi un andare controcorrente rispetto alle ‘innovazioni’ che sempre più caratterizzano le moderne regie liriche.
Se a Taormina lo scenografo Carlo Centolavigna aveva ben razionalizzato gli spazi prevedendo scene girevoli che rapidamente trasformavano e alternavamo lo splendido palazzo del Duca (che in verità riprende il Palazzo Reale del Louvre) con le scarne e sordide vie in cui si svolgevano le scene più cruente, nella ripresa al chiuso sono stati invece necessari tre intervalli per consentire i laboriosi cambi di scena, allungando la durata dello spettacolo, come si usava un tempo. Sfarzosi e coloratissimi, ridondanti i costumi ideati da Artemisio Cabassi. Luci di Bruno Ciulli. Scene e costumi erano pensati, secondo le indicazioni registiche di Leo Nucci, per spostare l’azione da Mantova alla Francia di Francesco I.
A Taormina Leo Nucci figurava sia come regista sia come interprete protagonista di Rigoletto, ruolo che nell’arco di quarant’anni di carriera e circa 550 interpretazioni lo ha reso quasi la personificazione teatrale del gobbo verdiano. A Catania è invece tornato da regista (ma io non sono un regista, si schernisce Nucci) mettendo a frutto e trasmettendo la sua esperienza e la profonda conoscenza del personaggio. Pur con tale sfarzoso sfondo visivo, la maggiore attenzione si è spostata verso i personaggi e la musica che li contraddistingue, accentuandone con attenzione la psicologia.
Nel ruolo protagonistico era stata da tempo annunciata la presenza del celebre baritono mongolo Amartuvshin Enkhbat ma alla fine, senza che ne fosse stata data alcuna comunicazione, non è stato più trovato il suo nome in locandina. Non sarebbe male se il teatro riprendesse l’abitudine di comunicare quando avviene una sostituzione, piuttosto che far passare tutto sotto silenzio, come se per il pubblico qualunque interprete sia da considerare un optional. In ogni caso il subentrante al turno A, il georgiano George Gagnidze (per le successive repliche sono previsti altri due interpreti) è stato sicuramente all’altezza del compito affidatogli, grazie ad una buona presenza scenica e, soprattutto, ad una voce brunita generosa di armonici, messi al servizio di una interpretazione accurata e di grande effetto (ne è la riprova il bis richiesto e concesso del duetto conclusivo del secondo atto “Si vendetta, tremenda vendetta” insieme alla Gilda impersonata dal soprano albanese Enkeleda Kamani. Bella sorpresa quest’ultima; una voce cristallina usata con bella tecnica, facilità di emissione, legati, mezzevoci e splendidi acuti, trepida presenza scenica. Quanto al tenore Ivan Magrì, catanese, ha offerto una prestazione assai controllata, non priva di possibile crescita sul piano interpretativo ed emozionale, grazie ad una qualità di fraseggio incline ad assecondare preziose nuances.
Sparafucile era un possente Ramaz Chikviladze; Monterone un magnifico ed imponente Luca Dall’Amico, Maddalena una ammiccante Elena Belfiore: Ed ancora Elena Borin (Giovanna), Fabrizio Brancaccio (Marullo), Riccardo Palazzo (Matteo Borsa), Gianluca Failla (Il conte di Ceprano), Sonia Fortunato (La contessa di Ceprano), Angelo Nardinocchi (un usciere), Ylenia Iasalvatore (un paggio), facevano da corona, con apprezzamento, all’intera ‘corte’. Splendida la prestazione del coro, istruito a dovere da Luigi Petrozziello. Non particolarmente pregnante la direzione d’orchestra di Jordi Bernàcer che non ci è parso a suo agio nel riprodurre al meglio la drammaturgia verdiana.
Lunghe ovazioni alla fine dello spettacolo a dimostrazione del gradimento del pubblico. Rigoletto ha colpito ancora.