Sembra che si voglia davvero ripartire con il Ponte sullo Stretto di Messina. Il Governo Meloni ha deciso di recuperare il progetto definitivo del 2011 del Ponte sullo stretto di Messina, che verrà adeguato alle nuove norme tecniche, di sicurezza e ambientali.
Il decreto-legge che ferma la liquidazione della Stretto di Messina spa, prevede che la società avrà una nuova e più moderna governance, con una partecipazione di maggioranza del ministero dell’Economia e di quello delle Infrastrutture, assieme ad Anas e alle Regioni siciliana e Calabria.
E, naturalmente, come una sorta di riflesso condizionato, ripartono le polemiche e si rilanciano veti e pregiudizi, in parte per visioni legate a vetero-ambientalismi ovvero per scarsa conoscenza della funzione civile ed economica di tale opera e ancora per interessate subalternità (con tanto di capriole di saltimbanchi della politica!) a ben individuabili lobby economiche.
Prima considerazione. La Società “Stretto di Messina Spa”, posta in liquidazione dal governo presieduto da Mario Monti con la legge 17 dicembre 2012 n. 221, che dirottò altrove i finanziamenti già stanziati, è concessionaria dell’opera e titolare del progetto già esecutivo e supportato da tutti i pareri positivi sul rapporto costi-benefici, impatto ambientale, sicurezza anche in ordine alla questione-sismica, oggetto di ammirazione a livello mondiale in campo ingegneristico. E al tempo in cui fu decisa la liquidazione, non si trattò certamente di un problema di risorse economiche, visto che lo stesso giorno in cui il governo-Monti tolse i due miliardi dalla programmazione (sui 6 mld complessivi) per il Ponte di Messina, essi vennero attribuiti alla seconda canna del Traforo del Frejius. E questo dato di fatto oggettivo, smentisce i sostenitori – le cui competenze in molti casi sono assolutamente sconosciute - di un nuovo progetto a più campate, magari già elaborato altrove e pronto cash da acquistare, dopo che è stato mandato in soffitta, per fortuna, quello del tunnel sottomarino. Sostenitori di un nuovo progetto, le cui considerazioni rinnovano l’efficacia di una battuta di Ennio Flaiano: “In Italia la linea più breve tra due punti è l'arabesco”.
Seconda considerazione. Il Ponte di Messina non può essere visto riduttivamente come un’opera funzionale solo a velocizzare il traffico tra le due sponde dello Stretto, ma in primo luogo quale infrastruttura di rilevanza europea e transnazionale, infrastruttura fondamentale di quel Corridoio 1 per creare un asse che da Berlino arriva sino a Palermo. Si tratta di quel Corridoio che dovrebbe percorrere verticalmente l’Italia attraversando il Nord-Est, a partire dal Valico del Brennero, e proseguendo per le regioni tirreniche sino alla Sicilia, con dieci Regioni italiane interessate: Trentino Alto Adige, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Lazio, Campania, Basilicata, Calabria e Sicilia.
Il Corridoio attraverserebbe l’Italia per due terzi della sua lunghezza, rappresentando un importante asse di collegamento per il trasporto merci e persone a lunga percorrenza su gomma e su rotaia.
E’ del tutto evidente che la realizzazione del Corridoio 1 costituisce un’opportunità per il Mezzogiorno e può essere fattore di avvicinamento e integrazione fra le regioni meridionali dell’Italia e quelle dell’Europa settentrionale e centro-orientale, nello spirito della politica europea di coesione economica e sociale, oltre che nella prospettiva euromediterranea.
Terza considerazione. Si dice prima le strade e le altre opere, poi il Ponte. Ed è errato ritenere che prima del Ponte si debbano realizzare altri interventi, a partire dalla modernizzazione ferroviaria, poiché solo l’attraversamento stabile sullo Stretto, come da atti di RFI e del Ministero delle Infrastrutture, potrà consentire di portare l’alta velocità dopo Salerno e sino in Sicilia. Né reggono contestazioni sul versante del rapporto costi-benefici, visto che l’opera è certificata sia sul piano della sostenibilità ambientale che su quello economico, oltre alla circostanza della dichiarata disponibilità di investitori internazionali, come nel 2011 della China Investement Corporation (Cic), fondo sovrano del governo di Pechino.
Senza dimenticare che in una fase economica segnata da una crisi - che a causa dell’invasione russa in Ucraina e del crollo di alcuni istituti di credito tra gli Stati Uniti e la Svizzera, può divenire peggiore di quella del 1929 e del 2008 con il crash di Lehmann Brothers - si devono bandire ancor di più pauperismi e “decrescite felici” di un certo ecologismo arcaico, per puntare con decisione sul modello economico keynesiano, fondato anche sugli investimenti pubblici, specie in infrastrutture, per stimolare la domanda e, quindi, crescita e occupazione.
Il Ponte sullo Stretto di Messina, a livello politico dopo anni di colpevole inerzia, deve rappresentare la consapevolezza che è necessario investire al Sud anche in grandi opere infrastrutturali, funzionali alla modernizzazione di sistema, precondizione fondamentale per attirare capitali privati. Se si vuole evitare l’inutile retorica meridionalistica o, peggio, i veti da parte di alcuni settori del grande capitale del Nord e del suo lobbysmo mediatico, servono massicci investimenti in porti, autostrade, reti ferroviarie e collegamenti telematici, politiche fiscali, ambientali ed energetiche di vantaggio e, in questo necessario scenario, la realizzazione del Ponte assume una valenza strategica.
Infatti, si pensi che passano circa 2.000 navi al mese nel Mediterraneo per andare al 95% a Rotterdam e ad Anversa. E che le merci che arrivano dalla Cina, transitano dai due porti olandese e belga per poi scendere a Milano, mentre invece potrebbero fermarsi in Sicilia, che è un grande porto naturale, e attraverso il Ponte sullo Stretto di Messina raggiungere più velocemente il resto d’Europa.
Il 6 agosto 2015 il Presidente Egiziano Abdel Fattah inaugurò il “raddoppio” del canale di Suez, un’impresa “faraonica” (è il caso di dirlo!) che sta consentendo l’incremento del traffico navale da e per il Mediterraneo e non solo. Per la sua realizzazione erano stati previsti tre anni di lavori, ma ne è bastato uno solo, e il costo è stato di 8,2 miliardi di dollari. E si guardi al ponte di Oresund di 15,9 km che collega la Svezia alla Danimarca, in prossimità rispettivamente delle due città di Malmö e Copenaghen, il più lungo ponte d’Europa adibito al traffico stradale e ferroviario con una campata centrale di 490 metri, inaugurato il 1° luglio 2000, esempio di integrazione ma anche di coesistenza tra rispetto per l’ambiente e opere di alta ingegneria. Per tacere di Istanbul con il terzo ponte sospeso sul Bosforo, che oltre a collegare Europa e Asia, abbracciando il Mar Nero (realizzato dall’italiana Anstaldi quale parte del progetto autostradale della North Marmara Highway, con un investimento totale di circa 3 miliardi di dollari), avrà anche la funzione di decongestionare il traffico della megalopoli turca e di creare un corridoio che faciliti i trasporti anche verso la Grecia.
Il Ponte può consentire al Mezzogiorno d’Italia di divenire la piattaforma logistica ed operativa dell’incontro tra l’Europa e un Mediterraneo pacificato, con una forte valorizzazione delle imprescindibili istanze dei territori meridionali, mettendo in equilibrio globale e locale, come inizio concreto della rinascita del nostro Sud.