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Napolitano, un riformista inascoltato

2023-09-23 20:10

Salvo Andò*

Cronaca, Politica, Attualità, Focus,

Napolitano, un riformista inascoltato

Riteneva che bisognasse lavorare, per rendere concreta la prospettiva dell'unità socialista, visione pregiudizialmente rifiutata dal gruppo dirigente comunista

Napolitano è stato senz'altro un protagonista non solo della storia italiana, ma anche della storia europea, considerata l’intensa attività svolta presso il Parlamento Europeo e  la grande considerazione di cui godeva presso tutte le cancellerie del  Continente. Uomo colto, era particolarmente vocato alle relazioni internazionali. E’ stato, infatti, il primo leader comunista italiano che si è recato in visita in America e che, poi, ha intrattenuto rapporti amichevoli con diverse personalità politiche americane e, in particolare, con Kissinger.

Ha avuto un’influenza decisiva sul mutato atteggiamento del Pci, partito tradizionalmente euroscettico, nei confronti del processo di integrazione europea .

Ha rappresentato nel partito comunista l'anima riformista, da sempre minoritaria, ma destinata ad avere un grande spazio nel dibattito politico che si svolgeva nel Paese. Si è sempre battuto per favorire un avvicinamento tra il partito comunista italiano e le socialdemocrazie europee. All'interno del suo partito è stato favorevole ad un dialogo con il partito socialista, spiegando ai suoi compagni di partito che, tuttavia, il dialogo non sarebbe mai stato possibile perdurando la pretesa dei comunisti italiani di considerare i socialisti come un'entità politica subalterna, con cui dialogare, ma a condizione che  accettassero l'egemonia del Pci.

Napolitano ha sempre contrastato, da convinto riformista, questa pretesa del Pci, che oggettivamente indeboliva la  forza della sinistra nella politica italiana.

Faceva spesso amare riflessioni, in questo senso, sulle occasioni perdute dal suo partito in direzione della creazione di un forte schieramento riformista a sinistra, in grado di rappresentare un'alternativa alla democrazia cristiana.

Queste sue posizioni  erano condivise dalla componente cosiddetta migliorista, spesso emarginata all'interno del partito, soprattutto nell'età di Berlinguer, che perseguiva con convinzione la politica del compromesso storico, portata avanti per anni, e poi naufragata per l'indisponibilità di larga parte della Dc ad accettare l’incontro con il Pci come strategia di lungo termine, e non invece come la conseguenza di uno stato di necessità, così come la concepiva tutto sommato lo stesso Moro.

Napolitano  riteneva che bisognasse lavorare per rendere concreta la prospettiva dell'unità socialista, visione rifiutata pregiudizialmente dal gruppo dirigente comunista, anche quando la politica  di Craxi avevo creato le condizioni perché finalmente si potesse  realizzare il disgelo a sinistra.

Napolitano intratteneva ottimi rapporti con i leader del socialismo europeo e dell'internazionale socialista, senza però che mai che la sua propensione in direzione di una positiva definitiva evoluzione dei rapporti tra socialisti e comunisti desse luogo, all'interno del Pci, ad atteggiamenti frazionistici, e meno he mai a tentazioni scissioniste. 

Riteneva il valore dell'unità del partito indiscutibile anche di fronte ad eventi traumatici che ne hanno segnato la vita. È significativo l'allineamento manifestato, di fronte ai fatti d’Ungheria, alle posizioni assunte da Togliatti, anche se poi negli anni successivi ha avuto modo in più occasione di dichiarare che quello è stato da parte sua un grave errore. Una critica in questo senso si può muovere a Napolitano. È stato per tantissimi anni leader indiscusso della posizione migliorista, eternamente candidato ad una intesa politica con il mondo socialista, senza però riuscire ad assumere una forte iniziativa politica in questo senso, tale da porre la questione socialista come  tema di dibattito all’interno del Pci. Da questo punto di vista fu eternamente indecisionista.

Una maggiore forza della sua componente all'interno del partito  avrebbe forse potuto fare della questione dell'unità socialista un tema obbligato di discussione dentro il Pci.  Ma in un partito rimasto togliattiano, che si guidava dal centro, e che aveva un indissolubile rapporto con Mosca, anche quando pareva chiaro che quel regime si avviasse all’implosione, forse avrebbe suscitato forti reazioni in una base comunista non preparata a questa prospettiva.

Per i comunisti sembrava molto più conveniente perseguire la strategia del compromesso storico che consentiva ad essi di potere via via avvicinarsi all'area del governo senza dover operare una svolta revisionista, senza fare i conti con il loro passato, così come chiedevano loro i socialisti di Craxi che spingevano convinti in direzione dell'unità socialista.

Tanti si sono chiesti come mai Napolitano, che godeva di un grande prestigio dentro e fuori dal partito comunista, non sia stato mai considerato un possibile segretario del partito.

L'unica spiegazione possibile e che il partito non avrebbe mai accettato la guida di un migliorista, che sarebbe stata interpretata come una sconfessione del togliattismo.

Con Napolitano alla guida del Pd forse sarebbe cambiata la storia d'Italia. Ma il partito lo riconosceva come grande leader politico, destinato ad assolvere a ruoli importanti a livello istituzionale, ma giammai come capo partito.

Contro di lui sembravano schierati gli strateghi del compromesso storico, a cui  Berlinguer affidava  le proprie fortune politiche.

Una volta franato il compromesso storico, il Pci si è ritrovato privo di una politica in grado di garantirne il protagonismo, in un difficile momento di transizione della politica italiana.

Napolitano è stato sempre un amico dell'Occidente, perché convinto che la liberal democrazia fosse essenziale per affrontare i problemi della modernità, a differenza di ciò che pensavano i principali dirigenti del suo partito. Era convinto che la sfida lanciata da Craxi inevitabilmente avrebbe trovato udienza nel Paese, considerato l'immobilismo conservatore del  suo partito. Riteneva che il futuro del Paese non potesse essere garantito dall'incontro tra le due chiese, quella comunista e quella democristiana.

È stato sempre favorevole al dialogo con i governi occidentali, ben prima che Berlinguer scoprisse che, tutto sommato, conveniva al nostro Paese essere protetto dall'ombrello della NATO.

Non ha mai carezzato il pelo agli estremisti della Sinistra, ritenendo che un grande partito come il Pci non potesse rifugiarsi in atteggiamenti demagogici, ma dovesse dare prova, di esprimere un forte senso dello Stato, rifiutando quindi le politiche del tanto peggio tanto meglio.

Ogni scelta compiuta da Napolitano nell'assolvimento delle responsabilità istituzionali, aveva nella Costituzione il suo punto di riferimento. Ciò comportava che i principi della Costituzione non potessero essere stravolti, ma anche che fosse necessario ritoccare la Carta Costituzionale in quelle parti che risultavano inadeguate a garantire processi decisionali rapidi, trasparenti, una più facile individuazione dei soggetti responsabili delle decisioni politiche, senza che l' impianto valoriale della legge fondamentale venisse stravolto.

Il  rispetto della Costituzione lo ha portato spesso a confliggere con le corporazioni più o meno potenti, che miravano a far prevalere l'interesse privato sull'interesse pubblico, rendendo quindi problematica quella democrazia emancipante che costituiva il tratto identitario inderogabile della Costituzione

La sua battaglia contro ogni forma di potere eccessivamente corporativo, lo ha portato spesso a polemizzare con la magistratura associata. Rifiutava l'idea di una democrazia giudiziaria, ritenendo che nessuna corporazione, per quanto potente, potesse darsi le regole da sé, dotandosi di una costituzione materiale in deroga alla Carta fondamentale.

E stato il primo presidente della Repubblica eletto due volte. E’ stato rieletto in un momento in cui le istituzioni potevano essere seriamente destabilizzate da una drammatica situazione economica del Paese, dovuta anche alla scarsa credibilità di esso sui mercati internazionali.

Ha accettato la rielezione con la consapevolezza di dover guidare una difficile transizione politica, che avrebbe dovuto produrre finalmente le riforme istituzionali delle quali, per tanti decenni, si era parlato senza trovare mai il necessario consenso perché si passasse dal progetto alla decisione.

Ha ritenuto concluso la sua missione dimettendosi quando sembrava che il Paese potesse tornare alla normalità, essendosi creato un clima politico piu sereno, grazie ad un governo di larghe intese che comprendeva anche Forza Italia, il partito che aveva  vinto le elezioni.

In occasione della sua rielezione non si è presentato certo come un uomo della provvidenza, che chiedeva al Parlamento pieni poteri, ma all'incontrario, come uno statista impegnato a dialogare con tutte le forze politiche nell'interesse del Paese, garantendo tutti, soprattutto vigilando affinché i diritti delle minoranze non venissero violati.

In questa circostanza tutte le forze politiche gli hanno riconosciuto l'autorità morale necessaria per poter gestire una fase particolarmente difficile della vita politica del paese.

Non è stato populista, non è stato decisionista,  ma sempre  fermo nell'esercitare i poteri che gli competevano. Non ha mai voluto incoraggiare un consenso della piazza che potesse mortificare la politica e i partiti. Insomma, è stato un galantuomo, che ha cercato di salvaguardare lo stile repubblicano tutte le volte in cui gli si chiedeva di assolvere a difficili compiti, per pacificare il Paese.