Dopo la prima assoluta dello scorso anno, luglio 2022, in apertura delle celebrazioni verghiane per il centenario, è tornata adesso sulle scene catanesi una singolare versione de “La Lupa” di Giovanni Verga per la regia di Donatella Finocchiaro (con la collaborazione drammaturgica di Luana Rondinelli) che ne è anche interprete principale. Frutto della collaborazione co-produttiva fra Teatro Stabile Catania e Teatro della Città- Catania/Centro di produzione teatrale, lo spettacolo è stato inserito nella Stagione di prosa dello Stabile alla sala Verga.
Nata come novella ed inserita nella raccolta Vita dei campi, pubblicata nel 1880, “La Lupa” fu poi adattata per il teatro (come scena drammatica in due atti) dallo stesso Verga nel 1886. Fin qui la premessa; le due fonti hanno dato vita, nel tempo, ad innumerevoli versioni sia teatrali sia filmiche (citeremo, a memoria, le tre di maggior successo con la regia, rispettivamente, di Alberto Lattuada, Gabriele Lavia e Franco Zeffirelli).
La presente versione si distacca totalmente dalle precedenti dando vita ad una lettura fortemente innovativa, anche e soprattutto nel delineare una figura “rivoluzionaria che si batte contro il concetto di vergogna e per affermare la propria condizione di donna autodeterminata” – come afferma la stessa Finocchiaro – “una donna che non si vergogna della sua sensualità e viene per questo additata dal contesto sociale perché libera, strana, diversa”. In un certo senso si viene a travisare il senso della vicenda immaginata da Verga e ci si chiede, quindi, quanto rimanga dello spirito dell’autore; ma questa è una storia sempre più consueta!
L’aspetto più suggestivo dello spettacolo ci è sembrato l’allestimento scenico di Vincenzo La Mendola, in quanto trasuda dell’humus della campagna siciliana, di cui evoca perfino gli odori e i rumori. La folla dei personaggi, con le loro filastrocche e i loro detti popolari, i loro allegri dialoghi, nell’aia, la sera, prima della mietitura, allargano la storia di passione della Gnà Pina per Nanni Lasca, bello come il sole, estendendolo a tutti gli altri personaggi. Sintomatica la scena d’amore dei due protagonisti, i quali, lungi dall’essere soli, si accompagnano all’amore consumato sui covoni da tutte le altre coppie in una sorta di liberatoria frenesia. L’allegra musica che Vincenzo Gangi ci propone, a base di twist e di “Andavo a cento all’ora” (con i movimenti di scena di Sabino Civilleri) uno spostamento temporale verso gli anni Sessanta, alle porte dei movimenti di rivendicazione sessuale della donna. Eppure la continua riprovazione di un ambiente arcaico, pronto ad additare La Lupa al pubblico ludibrio permane nel testo, naturalmente quello originale di Verga, creando una sorta di frattura tra quanto si vede e quanto si sente. Il finale mette in scena un esplicito femminicidio, meno cruento di quello suggerito (ma non visualizzato) da Verga con un’accetta, optando per un accoltellamento che si consuma a vista. Ciò che lascia veramente perplessi è la successiva trasformazione della Lupa in una statua della Madonna addolorata da portare in processione; un manifesto di santificazione lontano mille miglia rispetto alla potente chiusura di Verga che non lascia spazio all’ineluttabilità del destino dei vinti, siano essi vittime o carnefici.
Quanto agli interpreti non si può che elogiare le loro interpretazioni, a partire dalla disincantata sensualità della Finocchiaro per estendersi alla convincente partecipazione corale di tutti gli altri: Bruno Di Chiara (Nanni Lasca), Chiara Stassi (Mara), Ivan Giambirtone (Malerba), Liborio Natali (Janu/Prete), Alice Ferlito (Filomena), Laura Giordani (Prefica), Raniela Ragonese (Nela), Rosa (Giorgia D’Acquisto), Federica D’Amore (Lia), Roberta Amato (Grazia)Giuseppe Innocente (Bruno), Gianmarco Arcadipane (Cardillo).