È ormai lontano il tempo in cui l’unico ed irrinunciabile Concerto di Capodanno trasmesso in TV era quello di Vienna. Non che non ce ne fossero in altre città ma bisognava fare una scelta ed assistere ad uno soltanto dal vivo oppure a quello di Vienna in TV (o anche dal vivo, per i pochi ‘eletti’ che vi riuscivano). Oggi fra televisione, podcast e piattaforme varie è possibile ascoltare e/o vedere una grande quantità di concerti, rimanendo comodamente seduti sul divano di casa propria.
Per questo capodanno ho deciso di optare per questa scelta, sottoponendomi ad una vera e propria ‘abbuffata’ durata l’intera giornata, confrontando i vari concerti e traendone delle opinioni e riflessioni, ovviamente del tutto personali.
Primo, in ordine cronologico, quello trasmesso dal Teatro La Fenice di Venezia. Si tratta del concerto ‘istituzionale’ scelto ormai da una ventina di anni dalla RAI per ‘rappresentare’ la tradizione italiana. Dirò subito che, tra quelli visti ed ascoltati quest’anno è stato il più deludente! Nato come alternativa italica a quello di Vienna si è nel tempo sempre più cristallizzato giungendo negli ultimi anni ad una sempre più imbarazzante riproposta degli stessi brani, sempre quelli (oltre a pochi altri), e così è stato anche quest’anno. Sul podio Daniel Harding, maestro del coro Alfonso Caiani; solisti il soprano Mariangela Sicilia ed il tenore Francesco De Muro. La filosofia è quella di trasmettere le più celebri arie e i più celebri cori del melodramma, prevalentemente italiano (che, gira gira sono più o meno gli stessi nel corso degli anni) ma alcuni sono proprio fissi: il coro del Nabucco ‘Va’ pensiero’, ‘Nessun dorma’ dalla Turandot, il Brindisi dalla Traviata e il finale della Turandot a partire dalla frase ‘Padre augusto’; un’estrapolazione, quest’ultima, assai singolare dal momento che non è neppure un pezzo chiuso. Non mancano poi alcune coreografie filmate (quest’anno c’era l’Ater Balletto su coreografie dello spagnolo Marcos Morau). Insomma un concerto sinfonico corale con arie d’opera abusatissime che vorrebbe esaltare la tradizione dell’opera italiana, salvo poi aggiungere nella prima parte (quella che non viene trasmessa nella ripresa televisiva) una sinfonia del classicismo-romanticismo mitteleuropeo (quest’anno è stata la ‘Quinta’ di Beethoven). Interpreti di buon livello ma mai eccezionali ed esecuzione complessivamente ‘tirata via’ senza particolare trasporto espressivo.
Quello che colpisce è l’ormai assoluta assuefazione del pubblico che non chiede di meglio, tanto che gli ascolti televisivi tendono a preferire Venezia a Vienna. E sì che quest’anno nella capitale della storica Austria Felix sul podio c’era un superlativo Riccardo Muti, il quale ha impresso una lettura che ha rivitalizzato la tradizione dei valzer e delle polke degli Strauss. Anche lì, è vero, c’è un’immancabile ripetitività ma la freschezza dell’interpretazione di Muti – alla guida di un’orchestra (la Filarmonica di Vienna) dalle eccezionali qualità – tendeva a dargli nuova vita; e non mancavano poi brani poco eseguiti, con una ‘chicca’ in particolare: un brano di una compositrice donna, Constanze Geiger, contemporanea degli Strauss (il ‘Ferdinandus Walzer’ composto all’età di dodici anni!), ed era la prima volta che veniva eseguito a Vienna un brano di una compositrice donna!
Sky ha optato invece per Torino dove si è svolto, a Piazza Castello, un Concerto di Capodanno (significativamente intitolato “Torino in due atti”) celebrativo di due importanti anniversari per la storia italiana: i 160 anni dell’Unità legislativa d’Italia e gli 80 anni della Liberazione, in collaborazione con il Museo Nazionale del Risorgimento e il Museo Diffuso della Resistenza. Il concerto vedeva la partecipazione dell’Orchestra Filarmonica di Torino diretta da Marco Alibrando, mentre su un grande schermo scorrevano immagini storiche (da qui la collaborazione con i due musei) evocative dei protagonisti e degli eventi del Risorgimento e della Resistenza. I solisti di canto erano il soprano Irina Lungu, il mezzosoprano Laura Verrecchia, il tenore Antonio Poli e il baritono Ernesto Petti. Anche qui niente di nuovo sul piano del repertorio musicale (un’antologia di arie d’opera, duetti e pagine strumentali di Bellini, Rossini, Verdi, Rota, Ponchielli) ma rese funzionali allo scopo celebrativo, dalla conduzione di Paolo Gavazzeni e Lucilla Agosti.
Si potrebbe spulciare ancora per città, Palermo per esempio, con il curioso programma tematico costruito dal direttore Omer Meir Wellber sul Mendelssohn della Sinfonia ‘italiana’, in connubio con la canzone napoletana ‘jazzizzata’ con improvvisazioni del pianista Guy Mintus e dello stesso Wellber alla fisarmonica.
Ma ci piace, naturalmente, chiudere con Catania e il Concerto di Capodanno del Teatro Massimo ‘Bellini’. Fabrizio Maria Carminati, alla guida di quella che può essere definita attualmente la ‘sua’ orchestra, tale è il feeling, l’empatia venutasi a creare in questi anni di appassionata direzione artistica presso l’istituzione etnea, ha messo insieme una serata che definire di buon gusto è il minimo che si possa dire. Di fatto ha dimostrato come si possano accostare musiche e generi apparentemente distanti fra loro senza provocare alcuna ibrida commistione; semplicemente facendo ed eseguendo buona musica. Così è apparso assolutamente naturale accostare l’Entrata dei gladiatori di Julius Fucik alla saga cinematografica di Star War di Williams, la Danza delle ore di Ponchielli alla Danza di Zorba il greco di Teodorakis, dal waltz n.2 di Shostakovic (dalla Jazz Suite n. 2) alla Danza di Rossini; e poi, ancora, lo Stravinskij del Circus polka, il Tea for Two di Youmans (dal musical No, no Nanette), la novità dell’Interludio da Il Mago (Mandrake) del compositore romano Nicola Colabianchi, dai suggestivi e modernissimi timbri. Nella seconda parte non mancavano poi le tradizionali polke viennesi di Johann Strauss Jr. (oltre all’immancabile valzer ‘ Il bel Danubio blu’) , le note trascinanti di Franz von Suppé (Poeta e contadino e Cavalleria leggera) e, alla fine, perfino due canzoni d’autore di Lucio Dalla e di Mina (Caruso e Brava, brava) offerte in trascrizione sinfonica. A dare rigore, coerenza e afflato orchestrale di grande spessore provvedeva il complesso stabile etneo, condotto con sapienza, gioia e passione da Carminati. Il risultato è stato di un assoluto coinvolgimento che ha conquistato il pubblico presente, il quale non smetteva di applaudire, costringendo direttore ed orchestra a concedere più bis. E ci piace constatare come anche il saluto finale dell’orchestra sia stato affidato al trascinante Can can di Offenbach (ripetuto due volte), solare, mediterraneo, ben più opportuno di quella Marcia Radezsky di papà Strauss che fino all’anno scorso imperversava anche da noi. Finalmente!
Il plauso e l’apprezzamento per il Concerto di Capodanno catanese ci suggerisce una chiosa finale. A termine serata televisiva il canale 3 della RAI ha ‘aggiunto’ ai concerti di capodanno uno show dal titolo ‘Viva Puccini’, quale coda finale alle celebrazioni del centenario della morte del compositore lucchese del 2024. Ideato e co-condotto dal direttore d’orchestra Beatrice Venezi, insieme all’attrice Bianca Guaccero, è stato, in un certo senso, il contraltare in negativo del concerto catanese, un’apoteosi del cattivo gusto che, con l’intento di rendere più fruibile la comprensione della musica pucciniana anche ad un pubblico di presunti sprovveduti, ha di fatto proposto una ‘cultura’ spicciola al ribasso, poco più che intrattenimento. Se si pensa di avvicinare così un pubblico più vasto al mondo del melodramma si è capito veramente poco. Non sarà spiegando che il melodramma ‘anticipa’ la canzone che si conquisteranno i giovani; magari lasciamolo dire a Jovanotti!