In origine era “Il gabbiano” di Anton Čechov. Da questo capolavoro della drammaturgia russa, rappresentato per la prima volta a Pietroburgo nel 1896, parte la regista Irina Brook per effettuare le sue profonde riflessioni che la portano al di là dello stesso testo, nasce così “Seagull Dreams – I sogni del Gabbiano” proposto nell’ambito della stagione teatrale dello Stabile di Catania alla sala Verga. Non si può dire che si tratti di un semplice adattamento ma di una sorta di laboratorio creativo sia intorno all’opera di Čechov sia intorno all’esperienza personale di artista della regista.
I personaggi principali de “Il gabbiano” si ritrovano, tutti ma continuamente sovrapposti ai reali attori, alle loro esperienze, all’esperienza della regista stessa in una sorta di frenetico, colorato e surreale Hellzapoppin’. È come se si sovrapponessero anche diversi piani temporali come cristallizzati in una astratta sospensione temporale a partire già dal frenetico ballo sessantottino sulle note di Aquarius, a luci ancora accese, per trascolorare poi su un ‘chi è di scena’ che si apre con la celebre scena di ‘teatro nel teatro’ di Kostia dinanzi ai suoi amici e familiari; una scena che Čechov aveva mutuato direttamente dall’Amleto di Shakespeare (qui citato direttamente in lingua madre). Ed è subito contrasto fra il giovane, innovatore poeta e la madre Akràdina, celebre ed egocentrica attrice, la quale non perde tempo ad accusare il figlio di essere un fallito e di scrivere ‘schifezze’. Le sovrapposizioni temporali si fanno sempre più continue, si passa dai tempi di Čechov ai Musical (sempre sulle note del celeberrimo Hair) fino all’attualità delle videochiamate in teleconferenza su Zoom (L’innamorato di Akràdina, l’affermato scrittore Trigòrin, apparirà solo in video e ‘amoreggerà’ con la giovane Nina, oltre che con la stessa Akràdina, tramite cellulare). Il tema costante è lo scontro generazionale fra il nostalgico passato dei genitori e il presente dei figli rivolto verso un incerto futuro ancora tutto da creare. E non è certo un caso che a rappresentarlo sia Irina Brook, figlia di un grande maestro quale è stato il padre Peter.
C’è poi la disillusione dell’amore mai raggiunto o disilluso o tradito, il cui intreccio presenta nel Gabbiano coppie che mai raggiungono il vero amore: Kostia è innamorato di Nina, la quale ama lo scrittore di successo Trigòrin, il quale la illude promettendole una carriera da attrice e le fa fare un figlio (che poi morirà) ma per lui è solo una ‘distrazione’ dalla sua relazione con Arkàdina; dal canto suo Masha è perdutamente innamorata di Kostia, senza essere ricambiata, e finirà per sposare senza amore il maestro Medvedenko (qui semplicemente Simeon, barista).
La realizzazione scenica, unita alle scelte registiche (tutto opera della Brook) non fa che accentuare la complessità checoviana esagerandone la rappresentazione al limite del frenetico caos; si prova in scena la rappresentazione e subito si entra ‘in media res’ con gli attori che diventano personaggi.
Tutto grava soprattutto sulle solide spalle di Pamela Villoresi, strepitosa come non mai nell’interpretare una spavalda Akràdina, giocando anche con una prorompente fisicità che la rende protagonista assoluta. C’è poi l’inglese Geoffrey Carey (che la stessa Brook definisce il suo attore iconico) nei panni del vecchio Sòrin, fratello di Akràdina, che recita interamente in inglese; il bilinguismo è, infatti, un altro aspetto della piece; si alternano, infatti, italiano ed inglese (con sopratitoli), anche con una breve incursione registrata della stessa regista (in italiano) durante le ‘prove in scena’ per spiegare come va interpretato il personaggio di Nina.
Accanto ai due esperti protagonisti muovono buoni ed entusiastici passi i giovani attori della Scuola di Teatro del Biondo (che produce il lavoro): Giuseppe Bongiorno (Simeon), Emanuele del Castillo (Kostia), Giorgia Indelicato (Nina), Monica Granatelli (Masha), Giuseppe Randazzo (Ilya) mentre appare solo in video Miguel Gobbo Diaz.