La legge sull’autonomia differenziata è stata approvata al Senato.
Come scrisse opportunamente il presidente emerito della Corte costituzionale, Gustavo Zagrebelsky, “opporsi ad essa è la battaglia della vita per il Paese”, poiché l’iniziativa della maggioranza al governo distruggerà l’Unità nazionale, nemmeno sostituita dall’ipotesi del primo teorico della Lega di Umberto Bossi, Gianfranco Miglio che teorizzava una confederazione di tre macroregioni, ma da un confuso sovrapporsi di semi-stati con poteri feudali, sul piano legislativo e amministrativo, con la caducazione dei diritti costituzionali contenuti nella Prima parte della Carta fondamentale e dello Stato sociale universalistico ed egualitario.
L’Italia potrebbe diventare un Paese con cinque Regioni a statuto speciale di cui una con due province autonome (Trento e Bolzano), tre Regioni (che potrebbero diventare sette) con ambiti anche tra loro differenti di autonomia rafforzata e le altre a statuto ordinario e con uno Stato centrale a cui competerebbero residui di competenze, fondi minori oltre alle funzioni di difesa e ordine pubblico. Certo, c’è, purtroppo, la scriteriata riforma del Titolo V della Costituzione voluta dalla maggioranza di centro-sinistra nel 2001 e le gravissime responsabilità del governo Gentiloni, che ha sottoscritto le pre-intese con i presidenti del Veneto e della Lombardia, con l’acquiescenza, interessata, di quello del Pd dell’Emilia Romagna, d’altra parte non è un caso che il Partito democratico usi l’ossimoro di “autonomia differenziata moderata”.
Si dirà che si tratta di un giudizio troppo drastico, draconiano. E, invece, sono i fatti (è “fattuale” direbbe uno dei sostenitori di tale sciagurata scelta, Vittorio Feltri) a dimostrarlo, in primo luogo il meccanismo della “spesa storica”, trappola che distruggerà i servizi nel Mezzogiorno. La Svimez ha dimostrato, numeri alla mano, che con questa (contro)riforma “lo Stato aumenterà i debiti, o diminuirà i servizi”, servizi pubblici essenziali di una società solidale come la sanità, la scuola, l’edilizia popolare, la tutela ambientale, il ciclo dei rifiuti, con uno sconvolgimento del diritto del lavoro italiano.
Infatti, quale interfaccia dell’autonomia differenziata è stata subito proposto, con un disegno di legge della Lega, il ritorno alle gabbie salariali e alle retribuzioni diseguali tra regioni, con la regionalizzazione del pubblico impiego, della previdenza integrativa e della legislazione sulla sicurezza sul lavoro e la nascita di una miriade di sindacati a base localistica senza alcuna visione di equità nazionale.
Bisogna contrastare questa scelta scellerata che violerebbe i principi fondamentali di uguaglianza sostanziale della nostra Costituzione, poiché si avrebbe una cittadinanza asimmetrica legata al luogo di residenza, a causa della differente offerta di servizi, per qualità e quantità, e di prestazioni.
Che fare? Visto che la politica meridionale non è in grado di mettere in campo alcuna iniziativa di contrasto, né tantomeno le opposizioni, se non vaghe proposte fumose ma di accettazione nei fatti dello stravolgimento dell’Unità del Paese, devono essere i cittadini a mobilitarsi nel nostro Sud.
Serve una diffusa campagna dal basso di informazione contro il disegno di un ritorno all’Italia preunitaria, in nome dei valori di coesione nazionale e di solidarietà sociale e una battaglia di tutti quei movimenti meridionalistici, finalmente uniti in un comune obiettivo.