Ultimata la transizione tra gli spettacoli all’aperto e le celebrazioni di Belliniana verso l’autunno e la ripresa invernale, Il Teatro Massimo ‘Bellini’ riprende l’ultimo scorcio di programmazione della Stagione di Opera e Balletto 2024 con la ‘Trilogia dell’estasi’, spettacolo proposto dalla Compagnia Zappalà Danza su musiche di Debussy, Ravel e Stravinskij.
È una collaborazione ormai consolidata quella tra il Bellini e la Compagnia del coreografo catanese (ricordiamo, fra l’altro, il precedente della ‘Nona’ beethoveniana) il quale, come di consueto, opera nelle vesti di coreografo, regista, scenografo e datore luci, utilizzando la drammaturgia creata da Nello Calabro ed avvalendosi della collaborazione di Veronica Cornacchini per la realizzazione dei costumi.
Due ci sembrano gli elementi contraddistintivi del balletto: la corporeità e il simbolismo. Corporeità intesa come il ‘tutto’ che abita il mondo, le relazioni tra uomini e donne che, partendo dall’uno, sfociano nel molteplice, nell’intera umanità alle prese con i propri demoni, con una lacerazione che sembra condurre verso l’annientamento, ed è così che termina la danza, con un imprigionamento collettivo – una rete che cala dall’alto – di tutti, sostituendosi alla singolarità dell’eletta sacrificata nella danza conclusiva del Sacre du printemps di Stravinskij. Singolarità da cui si era partiti con il ‘Prélude à l’après-midi d’un faune’ (ma perché ‘eliminare’ il ‘prélude’ dal titolo?), osservato non sai se con compiacimento o indifferenza da una torma di danzatori dal capo di capro (e da un gruppo di figuranti coperti da mantelli neri, durante le sue evoluzioni impregnate di narcisismo sessuofobico. Al centro il ‘disvelamento’ dei ‘mantelli neri’ in ambigue seminudità ipercolorate, nella spiccata ritualizzazione del ‘Bolero’ di Ravel.
Il simbolismo impregna tutta la piece come nell’intento di stendere un ponte tra antichi miti (Dioniso…), vicina cronaca (uno stupro di gruppo) e ammiccamenti filmici (la festa orgiastica in ‘Eyes Wide Shut’ di Stanley Kubrick. Così anche la musica viene ‘contaminata’, tra passato e presente, facendo unire i tre capolavori del novecento con forsennati ritmi di musica dance e techno (quasi a voler bilanciare il selvaggio incedere corporale del ‘Sacre’ stravinskiano) realizzando un unicum circolare, quel Ring che appare come luminosa presenza nel corso di tutta la esibizione.
Quindici danzatori e diciotto figuranti riempiono il palco creando un ensemble che domina la scena con estrema bravura e perfetto amalgama.
Determinante l’esecuzione dal vivo, da parte della splendida orchestra del Bellini, condotta con cipiglio e infuocata intensità (specie nel ‘Sacre’) dal danese Vitali Alekseenok, uno dei due direttori ospiti principali del Bellini. E non era una cosa semplice, visto che, a differenza delle partiture di routine che spesso accompagnano gli spettacoli di danza, questa volta si trattava di eseguire tre fra i capisaldi del Novecento storico.
Teatro pieno ed applausi a scena aperta.
Lo spettacolo è al centro di una lunga tournée iniziata a maggio al Maggio Musicale Fiorentino e che si concluderà a marzo del prossimo anno al Teatro Verdi di Porderone. Si tratta di una coproduzione che coinvolge ben nove Istituzioni italiane e straniere.