Da qualche anno a questa parte è diventata consuetudine accostare, nelle esecuzioni concertistiche, due composizioni lontane nel tempo e dal diversissimo stile musicale: “Le quattro stagioni” di Antonio Vivaldi e “Las Cuatro Estaciones Porteñas” (Le quattro Stagioni di Buenos Aires) di Astor Piazzolla. Anche il Teatro Massimo Bellini di Catania ha operato la stessa scelta inserendo il concerto nella sua stagione di Recital 2022/23. Marco Serino ha diretto l’orchestra d’archi del Teatro Massimo Bellini eseguendo al tempo stesso la parte solistica del violino (come è d’uso nei concerti barocchi) mentre al clavicembalista Biagio Quaglino è stato affidato il basso continuo nel concerto vivaldiano.
Certo è decisamente cambiata la prassi esecutiva della musica barocca; dopo i furori musicologici di fine Novecento, quando la musica barocca veniva eseguita rigorosamente con strumenti d’epoca, rispettando l’organico e adottando continue revisioni critiche, sembriamo essere tornati al dopoguerra quando, per esempio, Monteverdi veniva riscoperto da Malipiero ma ‘adattato’ al gusto interpretativo dell’epoca o quando Vivaldi viveva una prima stagione di riscoperta della sua musica strumentale affidando i suoi concerti perfino a conclamate compagini sinfoniche come l’orchestra della Scala o i Berliner Philarmoniker. Oggi il rigore filologico appartiene ad una sempre più esigua schiera di ensemble che si esibiscono in appositi festival mentre il barocco torna anche nelle versioni più divulgative con frequenti trascrizioni in organici ‘allargati’.
La scelta esecutiva del concerto visto ed ascoltato al teatro Massimo appartiene proprio a quest’ultima ‘specie’ anche se affidato alle cure esecutive e direttoriali di un artista di lusso come Marco Serino, certamente profondo conoscitore anche della prassi barocca, oltre che versatile esecutore e virtuoso di alta scuola. Così le celeberrime Quattro Stagioni di Vivaldi, facenti parte della raccolta “Il cimento dell’armonia e dell’inventione”, pubblicata ad Amsterdam nel 1725, sono state eseguite dall’orchestra d’archi del Bellini ‘dilatando’ l’organico originale che prevedeva l’impiego del solo Quartetto d’archi (oltre il violino solista e il Continuo) e naturalmente con l’apporto del clavicembalo. In ogni caso Serino ha dato all’esecuzione un gusto interpretativo da profondo conoscitore e con l’apporto di un magnifico suono ed un fraseggio raffinato ed impeccabile nel tradurre e trasmettere all’orchestra i miracoli dello stile ‘a terrazze’, con la sua alternanza di forte e piano, mentre Biagio Quaglino realizzava il Continuo al clavicembalo con preziosa eleganza.
E Piazzolla? Su di lui incombevano i maggiori strali della trascrizione e contaminazione. Partiamo dal presupposto che il creatore del ‘tango nuevo’ creò le sue Stagioni in un arco temporale di cinque anni (dal 1965 al 1970) per essere eseguite dal suo Quintetto, costituito da Violino, pianoforte, chitarra elettrica, basso e Bandonéon. Quest’ultimo strumento, in particolare, è quello che attribuisce un colore imprescindibile al repertorio per tango e costituisce la cifra stilistica del compositore argentino. L’idea del violinista Gidon Kremer di realizzare un arrangiamento adatto al suo gruppo, violino solista ed orchestra d’archi, affidata nel 1998 a Leonid Desyatnikov portò, nei fatti, ad una rilettura che snatura del tutto lo specifico di Piazzolla. Oltretutto il revisore non si limitò a trascrivere il brano per il nuovo organico ma lo ‘contaminò’ inserendo citazioni delle Stagioni di Vivaldi e aggiungendo cadenze virtuosistiche al violino solista ed al violoncello. Evidentemente non sono più le Stagioni create da Piazzolla anche se l’operazione divulgativa e mediatica funziona. Lo abbiamo potuto constatare dagli applausi ricevuti dagli artisti, con conseguente esecuzione di due bis: un brano poco conosciuto di Ennio Morricone dal titolo “Vittime di guerra” ed il celeberrimo “Oblivion”, ancora di Piazzolla.