Ebbene sì. È ancora possibile fare teatro ‘serio’ senza bisogno di ridurlo o adattarlo, senza precludere, peraltro, una lettura moderna ed attuale. Ne ha dato prova al ‘Piccolo’ di Catania, per la stagione teatrale del Brancati, Alberto Orofino nel dirigere “Morte di un commesso viaggiatore” di Arthur Miller (con la splendida e sempre valida traduzione di Masolino D’Amico), grande capolavoro del teatro statunitense del Novecento.
Pubblicato nel 1949, in pieno periodo maccartista, il dramma di Miller possiede una carica di profondo disagio nei confronti del ‘sogno’ americano di uno Stato liberale e anticomunista la cui vocazione al profitto, alla competitività, al materialismo, al consumismo, sembra cucita sulla pelle dei ‘vincitori’, dei cinici, dei profittatori, dei migliori. In una società siffatta non c’è posto per gli umili, per i fragili, per i perdenti i quali solo nella morte possono trovare un possibile riscatto, paradossalmente l’affermazione del proprio esistere. È una visione profondamente pessimistica quella di Miller, legata ai principi del Capitalismo e per questo ancor oggi attuale. Si può dire, infatti, che oggi la situazione dell’occidente sia mutata, o non è forse dannatamente attuale e addirittura amplificata dalla Globalizzazione? Il microcosmo esistenziale della famiglia Loman, protagonista della piece, rappresenta emblematicamente il paradigma di una sconfitta che, avviata dal capofamiglia Willy (commesso viaggiatore da una vita per una ditta newayorkese), si trasmette ai figli Biff e Happy, anch’essi destinati ad una perenne e fallimentare mediocrità ed anche alla moglie Linda la quale, in quanto donna, è relegata ad una sorta di invisibilità connaturata ai rigidi parametri di un codice familiare paternalista e maschilista.
La regia di Orofino non cerca attenuanti o divagazioni ma si limita a mettere a fuoco le frustrazioni e i litigi familiari (segnatamente fra Willy e Biff) in un contesto che potrebbe essere esteso fino ai giorni nostri (vedi i costumi realizzati da Vincenzo La Mendola, insieme alle volutamente scarne e grigie scene) financo all’America trumpiana del “Make America Great Again!”
Tutto il peso del dramma grava, così, sulla capacità di ogni singolo attore nel rappresentare i sentimenti e gli atteggiamenti di una dolente umanità di sconfitti, continuamente a confronto con i ‘vincenti’, l’amico Charley con il figlio (e compagno di scuola di Biff) Bernard, divenuto avvocato di grido e financo con l’evocato fantasma di zio Ben, arricchito fratello di Willy o, ancora, con il cinico capufficio Howard Wagner.
Sono quindi gli interpreti a focalizzare ed evidenziare tutta la tensione emotiva che scaturisce dalla esemplare vicenda di frustrazione e false speranze; e qui troviamo in Miko Magistro un sofferto personaggio da recitazione d’alta scuola, perfetto nei tempi e negli improvvisi scatti di apparente felicità immediatamente delusa; il suo rapporto conflittuale con il prediletto figlio Biff, tra speranze riposte e disattese (anche per propria colpa) è esemplare, così come la risposta di un Luca Fiorino umorale, cangiante, schiacciato dalle aspettative del padre (che comunque ‘non riesce ad odiare’), commovente fin quasi alle lacrime. C’è poi la magistrale presenza di Debora Bernardi, una madre quasi votata al sacrificio nell’accudire in silenzio e con devozione sia il marito sia i figli. Ma sono tutti coralmente ‘in parte’, dal fratello Happy interpretato con disincanto e la leggera frivolezza dell’impenitente donnaiolo da Giovanni Arezzo, all’amico di casa Charley, Francesco Bernava, contraltare misurato dell’arrivismo vittorioso insieme al figlio Bernard, Gianmarco Arcadipane, ormai sul punto di esplicare la sua attività di avvocato addirittura al Congresso, dopo una giovinezza vissuta da ‘secchione’ al fianco di Biff. E, ancora, zio Ben (Santo Santonocito), Alice Sgroi (la donna), Daniele Bruno (Howard Wagner e Stanley) e Lucia Portale (Signorina Forsythe); oltre alle voci registrate fuori campo di Egle Doria, Marina Demetra Doria, Arianna Garaffa e Gabriele Scalia.
Così il teatro, quello vero, dimostra la sua vitalità.