Era da tempo che il Teatro Stabile di Catania non inaugurava con una trasposizione letteraria di ampio respiro, fastosa e (in questo caso) modernissima. Era stata, in fondo, una promessa di Luca De Fusco, fin dal suo insediamento come Direttore artistico, ammiccando a quella che è stata una peculiarità dello Stabile etneo nel corso del suo glorioso passato. Si pensi ai verghiani Malavoglia, ai Vicerè di De Roberto, alle tante trasposizioni sciasciane…
Così, messosi al lavoro in prima persona, lo stesso De Fusco ha voluto cimentarsi in un’operazione di alto spessore puntando sull’adattamento di uno dei massimi capolavori della letteratura europea dell’Ottocento, ‘Anna Karenina’ di Lev Tolstoj; affiancato dal drammaturgo Gianni Garrera ha affrontato la drammatizzazione del romanzo e la successiva messa in scena, riservandosi naturalmente la regia, avvalendosi di un collaudato team che contava sulle scene ed i costumi di Marta Crisolini Malatesta – plumbee ed essenziali le prime, rigorosamente in stile d’epoca i secondi – sulle luci di Gigi Saccomandi, sulle coreografie di Alessandra Panzavolta, sulle proiezioni di Alessandro Papa e con le intriganti musiche di Ran Bagno. Essenziale, peraltro, è risultata anche la coproduzione con il Teatro Biondo di Palermo.
Bisogna subito dire che, sul piano stilistico ed estetico, il confronto con il passato non si può certo porre. Né, riteniamo, possa essere stato questo l’intento di De Fusco. Viviamo in un’epoca diversa e la concezione teatrale (oltre che la sensibilità) si è profondamente modificata come peraltro lo stesso linguaggio. Quella che resta inalterata è la grande difficoltà che un ri-creatore, che si fa quasi co-autore, si trova a dover affrontare nella trasposizione drammaturgica di un’opera che non è nata per la scena; e qui nasce innanzitutto la scelta del come. In passato si tendeva a dialogizzare quanto più possibile anche il testo ‘narrato’ (con inevitabile riscrittura del testo originale), affidando semmai ad una figura di puro lettore-recitante il compito di legare le scene non rappresentate in prima persona.
La scelta di De Fusco va in una direzione completamente diversa, in linea, peraltro, con una tendenza sempre più diffusa, ma qui ancor più radicalizzata: una continua alternanza fra dialoghi in prima persona e riflessioni affidate agli stessi protagonisti (sul testo in prosa in terza persona) o al ‘coro’ degli altri personaggi. Se il testo originale subisce minori ‘mutilazioni’ è pur vero che viene a mancare la fluidità drammaturgica creando una certa difficoltà nella intellegibilità della vicenda da parte di un pubblico che non sa più se assistere ad un dramma o ascoltare una lettura recitata. A rendere ancor più multilinguistica la rappresentazione intervengono le scene filmate che non sono un semplice ‘sfondo descrittivo’ ma interagiscono con la scena reale fino a sovrapporsene (emblematica la gigantografia del viso di Anna, alla fine, ‘doppiata’ in voce dall’attrice sulla scena).
I nove personaggi estrapolati dal monumentale romanzo ci restituiscono uno spaccato abbastanza esaustivo dell’epocale rappresentazione dell’aristocrazia terriera e urbana russa ottocentesca, con tutto l’apparato di condizionamenti sociali che ne costituiscono l’incrostazione: ipocrisia, fedeltà, matrimonio, fede, gelosia, abitudini sessuali. In questo contesto la figura di Anna, interpretata da Galatea Ranzi, rappresenta un elemento di rottura delle convenzioni sociali cui l’attrice romana da vita con una pluralità di espressioni sempre misurate, evitando con cura gli eccessi di un romanticismo d’antan, ma caricando comunque di grande pathos la sua interpretazione. Accanto a lei fa da corona una compagnia di professionisti di alto rango che riescono ad esprimere, diversificandola, la vasta platea d’umanità russa che costituisce il cuore del romanzo: Debora Bernardi (Dolly), Stefano Santospago (Oblonskij), Paolo Serra (Karenin), Giacinto Palmarini (Vronskij), Francesco Biscione (Levin), Giovanna Mangiù (Betsy), Mersila Sokoli (Kitty), Irene Tetto (Lidija).
Un’apertura di stagione ambiziosa cui il pubblico ha risposto con calorosi applausi, consapevole del grande sforzo artistico e produttivo compiuto.