È uno spettacolo composito quello ideato da Guia Jelo per combattere, da artista, contro il dilagare dissennato della droga; si avvale della musica (con Cristina Russo che ricorda cantando le tante vite di artisti spezzati dalla droga) ma anche della parola, interpretando tre monologhi scritti da Francesco Pulejo, magistrato e scrittore, coordinatore della Direzione distrettuale antimafia della Procura della Repubblica di Catania e dal drammaturgo Aldo Nicolaj; Il tutto ‘cucito’ dalla stessa Jelo, aggiungendo ricordi, esperienze di vita vissuta, rivolgendosi quasi ‘a braccio’ al pubblico, con una coinvolgente presenza sulla scena da consumata mattatrice, con una recitazione sempre sopra le righe, ora dolente, ora istrionica e divertita, magari fin troppo isterica, infaticabile e non priva di una punta di retorica per innalzare la tensione.
Stiamo parlando di “Devi avere paura”, proposto dal teatro Stabile di Catania nell’alternativa Sala Futura, destinata al teatro più attuale, spesso sperimentale e di forte impegno civile. La regia di Francesca Ferro tendeva alla condivisione passionale, lasciando largo spazio alla debordante iniziativa della Jelo, mentre a Giovanna Giorgianni era affidato il compito di ‘addobbare’ la scena con i suoi costumi. E poi c’era la parte musicale, realizzata dal vivo da Cristina Russo & Neosoul Combo con i musicisti Mariano Nassello, Angelo Di Marco, Marco Di Dio oltre alla fisarmonica di Anselmo Petrosino. Produzione di Antonio Chiaromonte Cinemaset. La centralità della musica è affermata nel ricordare le figure di Elvis Presley, Chet Baker, Charlie Parker, Billie Holiday, quattro musicisti accomunati dalla prematura morte a causa della dipendenza dalla droga; mentre scorrevano le loro storiche immagini Cristina Russo eseguiva alcune cover con voce possente e preziosa carica soul-jazz. Attenzione particolare veniva poi riservata alla sfortunata e tormentata parabola umana di Amy Winehous, morta appena ventisettenne; mentre la Russo ne ricordava i successi, interpretandoli, la Jelo la identificava nei due strazianti monologhi di Pulejo sulla ‘sconfitta’ di una madre che non riesce a proteggere la figlia dalla dipendenza e, successivamente, ne diventa essa stessa dipendente, fino alla follia; la stessa follia che in “W la Regina” di Aldo Nicolaj conduce una donna fino a identificarsi in Cleopatra, suicida, sì, ma non con l’aspide, bensì con la droga (!?). Come dire, la tragedia della droga esiste, purtroppo, fin dall’antichità!
Uno spettacolo che, francamente, parte da buoni presupposti ma che risulta leggermente sconnesso e in qualche modo semplificatorio, anche se, indubbiamente, pone in essere un lacerante manifesto vissuto con partecipazione emotiva fino a sciogliersi in una laconica affermazione finale: “Ci sono due cose belle al mondo: amore e morte; ci sono due cose brutte: guerra e droga”.