Esiste un modo per riproporre oggi il Vaudeville, genere misto musicale e teatrale nato in Francia alla fine del Settecento e diffusosi per tutto il corso dell’Ottocento e il primo Novecento? Un genere che ebbe successo perfino in nord-America alla fine dell’Ottocento dando vita allo ‘Spettacolo di varietà’ e poi a Berlino negli anni Trenta e Quaranta del Novecento in un teatro come il ‘Titania Palast’ che ne ha fatto la storia. Cosa è rimasto oggi del Vaudeville? La consegna alla storia di autori come Courteline, Feydeau, Labiche per non citare che i più noti, tutti francesi naturalmente. Ci sono quindi due strade per riproporlo ancora oggi: fare un’operazione storico-archeologica, ‘classica’, per mostrare cos’era oppure rivederlo, rivisitarlo o, perfino, riscriverlo con ambientazione e gusto più in linea con la contemporaneità, purché si rispetti, almeno nello spirito e nella struttura dell’intreccio basato sugli equivoci, l’autore da cui si sono prese le mosse. È stata questa la strada intrapresa dalla regista Andrée Ruth Shammah, celebre artista subentrata alla guida del teatro Franco Parenti dopo la morte del suo creatore; la produzione dello spettacolo di cui ci stiamo occupando è appunto del Teatro Franco Parenti, Fondazione Teatro della Toscana ed è stato inserito nella stagione 2023 del Teatro Stabile di Catania (al Verga).
Il testo di riferimento è “Il delitto di via dell’Orsina” (L’affaire de la rue de Lourcine) di Eugène Labiche, il più prolifico autore di vaudeville dell’Ottocento, con i suoi oltre 170 lavori (Tra cui il celeberrimo ‘Il cappello di paglia di Firenze’). Insieme all’attore Giorgio Melazzi, Andrée Ruth Shammah lo ha tradotto per poi andare oltre con l’adattamento, inserendo alcuni elementi tratti da altre opere di Labiche, spostando la vicenda dalla Francia all’Italia della prima metà del Novecento, facendo qualche aggiunta al testo di proprio pugno; insomma un vero e proprio intervento di ri-creazione, cui non è stata esente la musica, composta per l’occasione da Alessandro Nidi cucendo addosso agli interpreti alcune filastrocche rimate su melodie per lo più popolari e preesistenti, come era peraltro uso nel genere (le voci di città – vaudeville).
Il risultato, quasi laboratoriale, non sai come definirlo per la sua natura un po’ ibrida. Conserva una sua natura leggera, da commedia ironica nobile, vi respiri il vaudeville, il varietà, l’anticipazione di un Assurdo che è connaturato alla vicenda paradossale ma venata dal classico gioco degli equivoci; vi cogli tutto l’intelligente tecnicismo dell’allestimento creato dalle sapienti mani di Margherita Palli (che consente rapidi cambiamenti di scena con l’impiego di una onnipresente semi-tenda scorrevole). Insomma uno spettacolo che sfida l’usura del tempo, interamente costruito sulla bravura della coppia protagonistica, due compagni di scuola che si ritrovano per caso dopo quarant’anni mentre fanno bisboccia allo stesso tavolo di ex allievi; e qui nasce la contrapposizione tra la sottile ironia di Massimo Dapporto (Zancopè), ex somaro arricchito e imborghesito, e Antonello Fassari (Mistenghi), ex secchione non elevatosi sul piano sociale, cuoco dalla comicità crassa e grossolana. L’equivoco è un delitto che i due temono di aver compiuto sotto i fumi dell’alcool ma di cui non ricordano nulla e che alla fine si scopre essere stato compiuto venti anni prima… Susanna Marcomeni è Norina, moglie di Zancopè, la quale assiste (naturalmente senza comprendere) alle trame disordinate dei due uomini, mantenendo un disinvolto applomb. Marco Balbi, Andrea Soffiantini, Christian Pradella e Luca Cesa-Bianchi contribuiscono con sagace e umoristica presenza a contenere il congegno ad orologeria nel vitalistico dipanarsi dell’intreccio. E il gioco è fatto.