Ci si dirige a passi veloci verso la fine della stagione di Concerti 2024/2025, ed è Fabrizio Maria Carminati, direttore artistico del teatro Bellini, a dirigere gli ultimi due, entrambi dedicati prevalentemente alla musica del Novecento.
Il primo lo ha visto celebrare l’inaugurazione del Teatro Massimo Bellini (31 maggio 1890) in memoria di Carlo Sada. In programma “L’altro Puccini” , ossia quello meno conosciuto dei lavori giovanili oltre un breve, colorito ‘Inno a Roma’ e, in apertura di serata, il Verdi dell’”Inno delle nazioni”, per tenore, coro e orchestra, brano celebrativo composto in occasione dell’Esposizione universale di Londra del 1862.
Ancora una volta Carminati ha guidato l’orchestra del Bellini con una partecipazione emotiva esemplare, frutto di un equilibrio sinergico con quella che, in questi ultimi anni, è diventata una ‘sua’ creatura. La raffinatezza della lettura, denota la capacità del direttore di trasmettere all’orchestra, ed anche al coro istruito con perfetta calibratura collaborativa da Luigi Petrozziello, un mondo musicale al quale dimostra di essere particolarmente legato, quella grande stagione italiana a cavallo tra l’Ottocento ed il Novecento e, come vedremo, continuerà anche nel prossimo concerto, con cui chiuderà la stagione.
Nella prima parte, l’Inno delle nazioni di Verdi apriva magnificamente la serata, rievocando il clima di fratellanza che il bussetano aveva profuso all’indomani dell’unità d’Italia, sovrapponendo profeticamente l’Inno degli italiani alla Marsigliese francese ed all’inglese ‘Dio salvi la regina’ in un mirabile abbraccio realizzato con un fitto ed abile contrappunto. Su tutti si ergeva, imponente, la voce del tenore Sung Kyu Park in una tremenda tessitura che ne metteva a dura prova la tenuta.
Ma era poi a Giacomo Puccini che era rivolto il resto del programma, dapprima con l’Inno a Roma del 1919, stesso organico dell’Inno verdiano, ma in piccolo, una sorta di divertissement (nonostante la derivazione aulica dal ‘Carmen saecolare’ del poeta latino Orazio) che lo stesso autore non amava più di tanto ma che, comunque, porta impresso il ‘marchio’ della riconoscibile melodia pucciniana. Subito dopo è stata la volta del ‘Capriccio sinfonico’, splendida prova giovanile del compositore toscano, composta alla fine degli studi in Conservatorio, nel quale ravvisiamo per la prima volta il tema dell’incipit di Bohème all’interno di un tessuto sonoro di estrema gradevolezza e maturità, resi dall’interpretazione di Carminati con vigore ed estrema cura del dettaglio: una tavolozza orchestrale che anticipa ampiamente le peculiarità del futuro, grande musicista.
In conclusione la cosiddetta ‘Messa di Gloria’; in realtà una completa Messa a quattro voci, per tenore, baritono, coro misto e orchestra, scritta nel 1880, ancor prima del Capriccio sinfonico, da un Puccini poco più che ventenne. Composizione sacra, sì, e anche tecnicamente ben definita, nelle sue cinque parti canoniche (l’Ordinario della Messa) ma che dimostra ampiamente, accanto a momenti tipici (quale la fuga conclusiva del Gloria) la vocazione teatrale di Puccini che, nell’Agnus Dei conclusivo, intonato in duetto dal tenore (ancora Sung Kyu Park) e dal baritono (Giorgio Caoduro) anticipa addirittura un tema della Manon Lescaut. Magnifica la prestazione sia dell’Orchestra sia del Coro amorevolmente guidati da Carminati.