Nel percorso che ha portato il direttore d’orchestra Eckehard Stier ad una sempre più frequente presenza sul podio del Teatro Massimo Bellini (fino all’attuale incarico di Direttore principale ospite) c’è una costante facilmente rilevabile nei programmi presentati: la musica dei grandi compositori russi. Fra di essi fa spicco Dmitrij Šostakovič del quale il musicista di Dresda ha già proposto, nel corso degli anni passati, la Quinta e la Dodicesima Sinfonia. È giunta ora la volta della Settima, in do maggiore, op.60 “Leningrado” da considerare come uno dei massimi vertici raggiunti dal compositore russo nativo di San Pietroburgo (poi ribattezzata, dal 1924 al 1991, appunto, Leningrado). La predilezione mostrata nei confronti del sinfonismo di Šostakovič, sembra procedere con una sempre maggiore collocazione del compositore russo-ex-sovietico tra gli ultimi grandi sinfonisti del Novecento.
Nato nel 1906 e formatosi quindi artisticamente durante il clima della della rivoluzione sovietica, Šostakovič dovette fare costantemente i conti con la feroce censura che impediva a chiunque di esprimersi liberamente; fu costretto a destreggiarsi tra le pieghe del ‘modernismo’ (verso cui nella fase giovanile propendeva) e del ‘formalismo’ piccolo borgese della musica occidentale, camminando sempre su una lama di coltello. Conobbe l’ostracismo del partito sovietico e dello stesso Stalin, culminato nel 1936 con due interventi apparsi sulla Pravda che definivano ‘Caos anziché musica’ la sua Lady Macbeth del distretto di Mtsensk; ottenne una prima ‘riabilitazione’ dopo la prima esecuzione della Quinta Sinfonia (21 ottobre 1937) dall’esplicativo sottotitolo ‘risposta pratica di un compositore a una giusta critica’. Nel 1951 entrò infine a far parte del Soviet Supremo ottenendo successivamente ben cinque Premi Stalin. Fu con la Settima (e con la successiva Ottava) che il compositore innalzò un monumentale e commovente edificio contro le devastanti conseguenze della guerra. Scritta nel 1941, proprio durante l’assedio di Leningrado da parte delle truppe nazifasciste, la Settima rappresenta una sorta di diario emozionale vissuto in diretta dal compositore che, vista a posteriori, si può intendere come un compianto alle vittime di tutte le guerre scatenate dai totalitarismi. Paradossalmente acquista oggi una straordinaria attualità nel momento in cui assistiamo al conflitto russo-ucraino.
Per la sua esecuzione è previsto un organico monumentale, di stampo mahleriano, per una durata che supera l’ora e un quarto. Motivo in più per un impegno che mette alla prova le capacità di un’orchestra e che il nostro complesso ha superato alla grande dimostrando ancora una volta di essere all’altezza di grandi prove specie quando sul podio si trovi un direttore con il quale, come nel caso di Stier, abbia instaurato una grande sinergia. La direzione di Eckehard Stier ha impresso il suggello ad una interpretazione moderna che non ha indugiato su romanticherie e dilatazioni elefantiache, essenziale e rigorosa sul piano ritmico dinamico, magari con un pizzico di retorica nei movimenti estremi mentre tendeva ad esaltare la commovente ed esacerbata passionalità dell’Adagio (terzo movimento) senza indugiare troppo, grazie anche all’apporto dei magnifici solisti dell’orchestra etnea.
Una serata che ha lasciato il segno coinvolgendo emotivamente il pubblico ed ottenendo vere e proprie ovazioni finali.