Torna a Catania, a distanza di dieci anni, “Sogno di una notte di mezza sbornia” di Eduardo De Filippo. Se allora fu la compagnia di Luca De Filippo a mettere in scena l’”originale”, per il teatro Verga, questa volta viene proposta, dal teatro Brancati, una versione ‘siciliana’, spostando l’ambientazione da un basso di Napoli ad uno di Catania. Immutato resta il regista, ora come allora Armando Pugliese.
“Sogno di una notte di mezza sbornia” è una singolare e divertentissima commedia scritta da Eduardo nel 1936 e rappresentata per la prima volta al teatro Piccinni di Bari il 20 ottobre di quell’anno. Lo spunto iniziale era stato tratto da una fortunata commedia di Athos Setti, “La fortuna si diverte” (1933) che in pochi anni aveva già collezionato una serie di trasposizioni vernacolari: dal romanesco “La fortuna di Cecè” con Ettore Petrolini (1934) al siciliano “La profezia di Dante” con Angelo Musco.
La vicenda narra di Pasquale Grifone, un povero facchino, a cui piace alzare il gomito e quando beve fa sogni strani, così da ricevere la “visita” di Dante Alighieri, del quale gli era stato regalato un busto in gesso. Il Poeta suggerisce all’uomo quattro numeri da giocare al lotto, sottolineando però che essi rappresentano anche la data e l’ora della sua morte. Di lì a poco, la quaterna esce e Pasquale vince una forte somma di denaro; la famiglia si adatta prestissimo alle nuove condizioni e nessuno si preoccupa della crescente disperazione del povero Pasquale, terrorizzato dalla sua “imminente” morte, cercano anzi di convincerlo del fatto che si tratti solo di una sciocca superstizione. Il giorno annunciato, però, la famiglia si veste a lutto: tutti, ormai, sono convinti che quellisiano gli ultimi momenti di vita dell’uomo ma quando il pericolo sembra ormai scongiurato un colpo di scena riapre il gioco: il dottore prontamente intervenuto al capezzale del ‘morente’ fa notare che mancano ancora cinque minuti allo scoccare dell’ora fatale, le 13. Il finale resta così aperto, con i riflettori puntati sull’attonito Pasquale, in attesa dei nuovi eventi, prigioniero dei capricci della sorte tra il ‘gioco’ della vita e il ‘gioco’ della scena.
E’ una commedia che sembra precorrere, o forse suggerire, la successiva e più compiuta “Non ti pago” che vedrà la luce quattro anni dopo. La ricerca della fortuna attraverso il lotto sembra essere l’unica soluzione alle miserie di un’umanità che viveva ai margini di una condizione esistenziale particolarmente precaria durante gli anni che precedono la grande guerra. L’insperata vincita e l’improvviso arricchimento diventavano cartina di tornasole nel comportamento di familiari e amici che circondano la patriarcale figura del capofamiglia, scatenando invidie, gelosie e perfino un cinismo che rischia di incrinare i tradizionali valori familiari.
Eduardo è un maestro nel descrivere coralmente questa umanità dolente ma la trasposizione ‘catanese’ non sembra aver sortito effetti particolarmente positivi. I personaggi in scena, infatti, con Angelo Tosto in capo, tendono a snaturare quanto di eduardiano c’è nella pieces (appartenente peraltro al suo primo ciclo drammaturgico) adottando, invece tipici tempi e modi da teatro martogliano invero un po’ desueti. Non manca comunque, in questo contesto, il divertimento, grazie alla ‘verve’ dell’intera compagnia che annovera, oltre al protagonista Tosto nei panni di Pasquale, Olivia Spigarelli, Lorenza Denaro, Elisabetta Alma, Luciano Fioretto, Vincenzo Volo, Federico Fiorenza, Federica Gurrieri e Valerio Santi. Le scene di Andrea Taddei e i costumi di Dora Argento sono in linea con l’impianto tradizionale mentre brillano le giocose musiche di Nicola Piovani.
Pubblico divertito, si, ma senza particolari entusiasmi.