Prosegue con ritmo settimanale l’attività concertistica del Teatro Massimo Bellini. Dopo la serata monografica dedicata ad Ottorino Respighi, la successiva, ancora monografica, ci riporta indietro al clima classico beethoveniano con una pagina non molto eseguita del compositore di Bonn, il “Triplo Concerto in do maggiore” per pianoforte, violino e violoncello, op 56”, composto fra il 1803 e il 1804 (coevo del Concerto n.4 per pianoforte e delle Sonate op. 53 e 54, sempre per pianoforte), seguita, nella seconda parte, dalla ben più celebre e matura “Sinfonia n.7 in la maggiore, op.92”, quella della ‘apoteosi della danza’ secondo la felice definizione di Richard Wagner, dettata dalla frenesia ritmica che la pervade.
Il Triplo concerto di Beethoven era stato eseguito l’ultima volta a Catania otto anni fa con la direzione e l’interpretazione pianistica di Xu Zhong (allora direttore dell’orchestra stabile dopo essere stato anche direttore artistico) mentre il violinista era, ieri come ancora nell’attuale edizione, Vito Imperato, storica ‘spalla’ del Bellini; violoncellista era Vadim Pavlov, allora primo violoncello ed oggi da poco in pensione, cui è subentrato Andrea Waccher; al pianoforte abbiamo trovato la giovane stella in ascesa Alberto Ferro. Sul podio Alvise Casellati, celebre direttore d’orchestra formatosi alla Juilliard School of Music di New York e perfezionatosi con Piero Bellugi.
È stata una esecuzione molto brillante, come è nello spirito della pagina composta per l’arciduca Rodolfo (che, da buon dilettante sedeva al pianoforte per la prima esecuzione) e che rientra nel novero delle composizioni d’occasione di gusto salottiero, con una scrittura volta al passato come peraltro si evince dalla struttura più di Sinfonia concertante che di vero e proprio Concerto classico. L’esecuzione è stata volta proprio a questo gusto di ‘leggerezza’ anche se non mancano passi di una effettiva difficoltà virtuosistica destinata al violino e, ancor più, al violoncello, specie nel movimento finale, ‘Rondò alla polacca’, in cui gli elementi ritmico-melodici offrivano sia a Vito Imperato sia ad Andrea Waccher di esprimere pienamente un’intensità di fraseggio corroborata da impeccabile perizia tecnica; anche Alberto Ferro, peraltro, offriva con scioltezza e dinamica brillantezza il suo contributo pianistico. La direzione di Alvise Casellati rappresentava poi un sicuro rifugio all’equilibrio complessivo dell’esecuzione, cui l’orchestra aderiva con convinta partecipazione.
Nella seconda parte della serata si tornava al Beethoven più noto e popolare con la Settima Sinfonia; un’oasi di salutare ottimismo ed un’irrefrenabile pulsione ritmica per un autore destinato, nell’ultima fase della sua avventura terrena, a raggiungere le più rarefatte e profetiche tensioni armoniche (si pensi alle ultime Sonate per pianoforte ed agli ultimi Quartetti d’archi), ma che qui è ancorato alla terra e all’uomo nelle sue componenti più gioiose. Essenziale e senza fronzoli l’interpretazione dell’orchestra guidata da Casellati, tutta volta ad esaltare la timbrica delle famiglie strumentali e il prorompente dinamismo che, alla fine, sfociava in un boato di entusiasmo da parte del pubblico che affollava il teatro in ogni ordine di posti.