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a pensione Eva da Camilleri a Dipasquale

2023-04-17 11:48

Aldo Mattina

Cronaca, Spettacoli, Focus,

a pensione Eva da Camilleri a Dipasquale

In scena al Brancati. Il regista Giuseppe Dipasquale, che può vantare una lunga frequentazione con Camilleri, ne ha curato anche l’adattamento e le scene.

È tempo di Trasposizioni teatrali e adattamenti drammaturgici tratti da romanzi e racconti per le stagioni di prosa catanesi che, in verità posseggono una lunga tradizione di queste operazioni. Non tutti le apprezzano, ritenendole improprie, ma è fuor di dubbio che, a volte, i risultati sono stati assai intriganti ed altre volte addirittura storici.

     Nelle ultime settimane i riflettori si sono accesi su Dostoevskij (“Il sogno di un uomo ridicolo”) e su Sciascia (“Una storia semplice”) al teatro Stabile con esiti alterni. Adesso è stata la volta di Camilleri (“La Pensione Eva”) al teatro Brancati. Officiatore, in questo caso, il regista Giuseppe Dipasquale che ne ha curato anche l’adattamento e le scene. Il regista catanese può vantare una lunga frequentazione (anche diretta e personale) con Camilleri, avendo già in passato portato sulle scene diversi lavori dello scrittore di Porto Empedocle; ricorderemo, tra gli altri “La concessione del telefono”, “Troppu trafficu ppi nenti” (da Shakespeare), “Il birraio di Preston”. La sua conoscenza dello spirito, della lingua e del percorso artistico di Camilleri lo hanno condotto, ancora una volta, verso una strada collaudata e credibile che in questo caso ha espresso con una particolare verve comica, sia pure venata di malinconia, grazie anche al contributo attoriale di quel Maestro della comicità, vanto ed onore della Sicilia, che risponde al nome di Tuccio Musumeci!

     Il Cavaliere Lardera, vecchio ed abituale frequentatore di case chiuse (siamo in epoca fascista e la legge Merlin è ancora di là da venire) trova in Musumeci il perfetto rievocatore di un’epoca dai costumi assai diversi dagli attuali rivissuti non tanto con nostalgia quanto con la consapevolezza di una realtà lontana e perduta. Nella Pensione Eva, il Casino di Vigàta, si rispecchia uno scorcio di Società che fa da filtro alle vicende che portarono alla seconda guerra mondiale e si rivela anche un vero e proprio romanzo di formazione dolceamaro per Nenè (diminuitivo con cui veniva chiamato lo stesso Camilleri ma non tanto da rendere autobriogafico il personaggio), Ciccio e Jacolino, dalla giovanile ‘scoperta’ delle gioie del sesso fino al baratro della devastante guerra, punteggiata dai frequenti bombardamenti.

      La ricostruzione della ‘Pensione’ ci presenta un mondo abitato dalle ‘signorine’ in abiti vistosi e discinti ma mai sconvenienti (scene di Dipasquale, costumi di Dora Argento, movimenti coreografici di Giorgia Torrisi); signorine che al piccolo Nenè apparivano addirittura delle ‘fatine’, prima di ‘svezzarlo’ e prepararlo alla vita aiutandolo a “capire qualichi cosa di lu munnu, di la vita”. 

     Pur adattato per la scena il testo mantiene una struttura in parte narrativa (affidata soprattutto alla coralità delle signorine) e rispettosa dello stile e del linguaggio di Camilleri traducendosi poi nella teatralizzazione e umanizzazione dei personaggi. Debora Bernardi è l’autoritaria ed umanissima maitresse, una sorta di ‘badessa’ (intesa come colei che bada alle sue ragazze) per le signorine: Lucia Fossi, Anita Indigeno, Ramona Polizzi, Vittoria Scuderi  (in arte ’la bolognese, Siria, Iris, Vivì, Liuba Lulù, la tedesca…). Molto ben caratterizzati tutti i personaggi, da Daniele Bruno (Nenè e Giugiù) a Cosimo Coltraro (Don Stefano Jacolino – padre di Nenè – Manzella), da Claudio Musumeci (Jacolino – Angelo americano) a Vincenzo Volo (Ciccio – Partigiano – Firruzza) fino ai due clienti, Santo Fragalà e Ugo Valle. Una coralità orchestrata da Tuccio Musumeci con le sue molteplici corde, dal comico al dolente. Le musiche di Matteo Musumeci ripescavano colorate canzonette d’epoca affiancandole ad originali e cullanti melodie pianistiche. 

     Il tutto fra divertimento e malinconia con la scena finale dei due amici che si ritrovano a fine guerra, Nenè e Ciccio, mentre Jacolino è morto. E tra racconti e ricordi Nenè “si fumò la prima sicaretta della sua vita”.