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Il Pd, la Sinistra in Italia: alla ricerca del socialismo perduto

2022-10-17 10:25

Maurizio Ballistreri*

Cronaca, Politica, Focus,

Il Pd, la Sinistra in Italia: alla ricerca del socialismo perduto

I dirigenti del Pd invece di interrogarsi sulle cause di una disfatta che ha attribuito al centro-destra la vittoria continuano nelle loro sterili elucubrazioni

È di tutta evidenza l’inadeguatezza, politica e culturale del Pd, dopo la dura sconfitta alle elezioni del 25 settembre. Ultima testimonianza la drammatica divisione del centrodestra e la rissa tra Berlusconi e Meloni, che ha visto il Pd incapace di evidenziare i limiti e le contraddizioni della maggioranza uscita dalle urne.

E d’altronde, i dirigenti di quel partito invece di interrogarsi sulle cause di una disfatta che ha attribuito al centro-destra la vittoria continuano nel loro politicismo e in una dialettica che guarda solo all’occupazione di spazi interni di potere.

E così tra autocandidature alla segreteria, da Bonaccini a Elly Schlein, oltre a Paola De Micheli, Provenzano e chi più ne ha più ne metta, proposte retrodatate di cambio del nome, come quella di Cacciari di “democrazia progressiva”, nessuno parla di programmi e di riferimenti alla cultura politica della sinistra autenticamente riformista, né opera una severa autocritica sulla stessa esperienza del Pd, nato come esperimento di genetica politica dall’incontro tra post-comunisti e democristiani, con quest’ultimi ad avere assunto il controllo del partito, da Renzi a Letta.

Il Pd è allo stato una forza politica senza ideologia e senza classi di riferimento, il cui unico tratto identitario sono state le primarie viste come strumento di un plebiscitarismo che “incorona” il capo per praticare una “vocazione maggioritaria” dal significato fumoso, proposta da Veltroni e sostenuta in una prospettiva di liberalismo radicale, e il cui “nemico” è, paradossalmente, il conflitto sociale, relegato negli scantinati della storia. Un partito percepito come espressione di élites borghesi e del mondo della finanza, lontano dagli interessi popolari e da quel conflitto sociale che consentì al movimento operaio, base politica e sociale della sinistra nel Novecento, di imporre severe regole al capitalismo e di redistribuirne la ricchezza verso il basso, secondo l’efficace immagine non di un capo bolscevico dopo la presa del Palazzo d’Inverno in Russia, ma di un grande leader della socialdemocrazia mondiale: lo svedese Olaf Palme, che affermò “il capitalismo va tosato e non ucciso”.

Ma il Pd, al contrario, si è posto a partire dalla sua fondazione, come l’alfiere  della difesa del mercato e della finanza, come testimonia, d’altronde, il sostegno acritico al governo Monti, imposto dalla famigerata Troika, con i terribili provvedimenti anti-popolari dell’austerity, e quello a Draghi, visto come un novello demiurgo, sul cui altare è stato sacrificato il “campo largo” con i Cinque Stelle.

I temi - per una sinistra ancorata ad un riformismo dalle radici antiche aggiornate al nostro tempo, per il rilancio e la modernizzazione dei diritti sociali  – sono sotto gli occhi di tutti: precarizzazione del lavoro, a fronte dei vertiginosi processi di accumulazione capitalistica prodotti dall’economia 4.0, con i fenomeni del dumping sociale, della crisi salariale e delle politiche welfaristiche, dell’abbandono del lavoro, dello sfruttamento degli immigrati, del dramma delle morti sul lavoro, del ritorno del paternalismo datoriale. Senza dimenticare il Mezzogiorno, che l’autonomia differenziata sostenuta da importanti settori dei democrats, assieme alla Lega tornata alle origini di partito del Nord, relegherà sempre più in posizione marginale nello scenario economico e sociale nazionale.

La sinistra, rappresentata in Italia dal Pd, è segnata dall’inadeguatezza della sua azione, a fronte della straordinaria predicazione sociale di Papa Francesco, vox clamantis in deserto nell’orgia mercatistica generata da una globalizzazione, che, già in crisi dopo la bolla dei mutui subprime e il fallimento di Lehman Brothers e poi con la pandemia, sembra schiantarsi sul muro della prospettiva di una nuova divisione in blocchi militari ed economici, quello Occidentale e quello Euroasiatico, che il dramma dell’invasione russa dell’Ucraina sta generando, mentre il sogno europeista rischia di dissolversi definitivamente tra populismi autoritari e ritorno a politiche economiche monetariste della Bce, con l’autoreferenzialità della Germania che decide aiuti di Stato per la questione energetica al di fuori del necessario consenso dell’Unione Europea.

Si deve registrare nel nostro Paese, purtroppo, l’assenza di una vera forza di sinistra in grado di affrontare le drammatiche contraddizioni sociali del nostro tempo, contestando il mantra del postmoderno, che assegna alle logiche del mercato il primato.

Nella sinistra europea ed internazionale non mancano fermenti: i socialisti spagnoli di Pedro Sanchez e quelli portoghesi di Antonio Costa al governo dei rispettivi Paesi con un programma dai forti connotati sociali; le socialdemocrazie scandinave tranne quella svedese recentemente battuta; il socialismo americano di Berny Sanders e Alexandria Ocasio-Cortez e lo stesso ruolo da protagonista della politica francese di Jean-Luc Mélenchon con un programma che ha visto al centro per il rinnovo dell’Assemblea Nazionale, la questione sociale e quella ecologica.

Un ventaglio di posizioni che pone al centro dell’agenda politica i diritti sociali, il lavoro, lo sviluppo eco-sostenibile e il contrasto all’egemonia della finanza globale.

Si guardi al premier spagnolo, il socialista Sanchez, che ha di recente riformato il mercato del lavoro contro la flessibilità, che vuole realizzare una riforma fiscale che incida sui grandi patrimoni e alleggerisca retribuzioni e pensioni di quella che definisce ancora “la classe operaia” - sparita invece dal lessico della sinistra italica – per affrontare la vera grande questione del nostro tempo: la diseguaglianza.

Insomma, c’è bisogno per la sinistra nel nostro Paese di diventare socialista e praticare le politiche di redistribuzione non solo della ricchezza ma anche del potere tra i ceti sociali, come è avvenuto nel passato con le socialdemocrazie europee, che hanno ripreso la loro funzione storica di rappresentare i ceti più deboli della società contemporanea.

Non serve riformare il Pd ma è necessario trasformarlo in una forza socialista, facendo tesoro del monito del “Grande vecchio” del socialismo italiano, Rino Formica, a proposito dell’esigenza di non essere, tra l’altro, il partito del “capitalismo imperiale”.

Così si potranno correttamente invocare il Programma di Bad Godesberg della socialdemocrazia tedesca di Willy Brandt nel 1959 e la Costituente socialista di Épinay di Mitterand del 1971 e la sinistra in Italia potrebbe, parafrasando Proust, andare alla ricerca del socialismo perduto.