A buttarla in vacca l’iniziativa di Matteo Salvini, in video call con Marine Le Pen, appena alcuni giorni fa, equivarrebbe a precludersi la comprensione del travaglio che attraversa la Lega, dalla scomparsa di Silvio Berlusconi.
Non è l’unica formazione indirettamente lasciata in balia delle onde in ambito europeo dalla perdita della bussola di marca neo-liberalista fino a quel momento fornita dal defunto leader di Forza Italia. Se la barra del centrodestra alle nostre latitudini volgeva in preponderanza verso il Partito popolare europeo, adesso emergono due posizioni aggiuntive, quella tradizionalmente orientata verso l’agglomerato di Visegrád, l’alleanza tra Polonia, Ungheria, Repubblica Ceca, Slovacchia, interlocuzione curata da Giorgia Meloni, prima dell’avvento al potere, in uno con le prove generali di intesa, di là da venire, patrocinate da Salvini con le Rassemblement National, il movimento francese di Marine Le Pen e con Alternative fūr Deutschland, il partito di estrema destra tedesco, la cui portavoce è Alice Weidel.
A ciascuno il suo, parafrasando Leonardo Sciascia, verrebbe da dire. Sennonché a bocciare impietosamente il progetto di Salvini ha provveduto d’acchito Antonio Tajani, in odore di elezione a presidente di Forza Italia.
Eppure, a Salvini, stretto nella morsa tra Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti gioverebbe, come all’assetato smarritosi in pieno deserto, rompere il cerchio interno alla Lega, costruito dal ministro dell’economia, dal sapore amaro della camicia di forze, e da quello esterno, eterodiretto in chiave di equilibri di governo e di potere, non solo a opera del presidente del consiglio, quanto dall’influenza indiscussa di Mario Draghi sull’attività dell’esecutivo. Una mossa falsa del ministro dei trasporti e vicepremier lo porterebbe nell’angolo buio della irrilevanza. Con le sue fughe in avanti, Salvini gioca la partita della disperazione, almeno così appare agli analisti più addentro agli equilibri della Lega.
Di segno diverso la manovra di Giorgia Meloni volata a Varsavia per l’incontro bilaterale con il premier polacco Mateusz Morawiecki. Dopo la rottura in sede europea sui migranti, con intelligenza tattica il capo del governo italiano ha teso la mano, rivendicando un intervento di supporto dell’Unione europea nei confronti della Polonia sovraesposta sul piano economico, sociale e politico a causa dell’enorme flusso di rifugiati ucraini accolti dopo la fuga dal loro paese per l’aggressione russa. Insomma, maggiori contributi in denaro al governo polacco in debito di ossigeno. Mossa di valenza strategica, mettendo al centro dell’accordo l’elemento unificante di indubbio valore per ambedue le nazioni, ovviamente l’ombrello Nato, tanto necessario più alla Polonia, troppo vicina ai confini con la Russia che all’Italia. In più la Meloni, presidente del Partito dei conservatori e dei riformisti europei ha mostrato con naturale aplomb quanto l’accordo di Visegrad sia riduttivo, anche sul piano meramente numerico, trattandosi di quattro aderenti al patto, a fronte dei tredici del raggruppamento del Partito dei conservatori e riformisti europei.
A Forza Italia la trasmigrazione in una compagine diversa dal Partito popolare europeo non solo non converrebbe, bensì segnerebbe la fagocitazione dentro Fratelli d’Italia, verisimilmente segnandone il tracollo.
Dunque? Con le elezioni europee il quadro delle alleanze avrà linee di plausibile chiarezza. Ma ad arrivare fin lì mancano mesi. Già dalle prossime settimane questa partita di Risiko si giocherà su tre fronti diversi, come abbiamo provato a decifrare. E, poiché da cronisti di provincia, nel forzare i concetti ci siamo inoltrati in proiezione futura, invochiamo la tolleranza dei lettori, in quanto le previsioni sono state adoperate nel tentativo di delineare mosse e contromosse in via di concepimento. Ammettendo di avere interpretato gli intenti della Meloni, di Salvini, di Tajani, quando ancora la possibilità di tornare indietro o addirittura di imboccare strade diverse è attuale, potremmo essere smentiti. Ma, quantomeno vorremmo augurarci di avere svolto la funzione di decodificazione degli assunti politici di questi giorni, ovvero le singole ragioni di ciascun protagonista in proiezione degli atti prodotti, altrimenti incomprensibili.