La circostanza è nota. Un giornalista con incauta spavalderia chiese al professore Alberto Ronchey: “Ma lei è un tuttologo?”, e lui fulminante: “Anche”.
Non sapeva di avere creato una scuola.
Vi è una categoria circolante di virologi, giuristi, giallisti, petrolieri e benzinai e così via, che di volta, in volta, a seconda dell’emergenza, è pronta a esercitarsi nella “supercazzola” di turno, e senza avere l’ingegno di Ronchey, ne imita la prontezza. Così, sappiamo le cose che loro non sanno, ma siamo in un Paese libero, e perciò sono convinti che gli improvvisatori svolgono lavoro socialmente inutile, al fine di stupire.
La Sicilia che è terra di pudore, anche se nota ingiustamente solo per la violenza, durante la lunga epoca della civiltà contadina, inventò un termine subito accolto dall’anagrafe: “industrioso”. Comprendeva chi non aveva un’attività specifica, ma si arrangiava, improvvisando quando occorreva.
Era una vasta categoria di innocenti.
Pensava solo di adattarsi a fini di pane.
Tanto premesso, approdiamo all’attualità.
Tutte queste arroganze sono state mobilitate in televisione e nella carta stampata, per confondersi con chi aveva titoli di competenze, e quindi scatenarsi in diagnosi e teoremi ora riferentisi all’evento storico dell’arresto del latitante più ricercato, Messina Denaro.
E tutti a discettare di “ergastolo ostativo” da qualcuno confuso con qualche diavoleria legale, intercettazioni mai sfiorate da questo governo, anzi ribadite.
Non sarebbe allora rimedio radicale intercettare tutti, con la logica dei francesi per la calunnia: “qualcosa uscirà”.
In questo serpentario impazzito chi ne fa le spese è il soggetto competente, che, accerchiato dai “tuttologi”, ne esce avvilito e incredulo, constatando come materie complesse di natura tecnica, possano diventare frasi a senso, risposte azzardate, bluff culturale.
Il premier ha mantenuto un profilo felice di prima cittadina distaccata, sebbene massima espressione di una coalizione politica.
Secondo stile ragionato: è vittoria dello Stato, a cominciare dai morti per l’adempimento del dovere, quindi, di uomini che hanno cancellato vita ordinata, presenze in famiglia, anche se rare, riserbo e rischio come cifre operative.
In concomitanza temporale nelle Tv si proiettava il film sul generale Dalla Chiesa, un campione di dedizione e di sagacia operativa.
Quando arrivò all’aeroporto di Palermo rimase col suo bagaglio, in attesa di un taxi, senza che neppure un vigile urbano lo attendesse all’arrivo. Giorgio Bocca, per intervistarlo, si rivolse all’unico soggetto in divisa, un “piantone” avanti la prefettura, che senza girarsi verso l’interlocutore, si disturbò a dire “al primo piano”, indicando il luogo ove trovare il prefetto. In un ambiente deserto e spettrale. Verrebbe da scrivere “funereo”, se il termine non fosse equivocabile.
Resta l’invito civile e indignato di Giorgia Meloni: “ma è possibile che in questa Nazione non si riesca a essere uniti neppure in una occasione di festa e di speranza”?