Con un Gala lirico-sinfonico si è aperta al Teatro Bellini di Catania la terza edizione del Bellini International Context. Il concerto, inizialmente previsto alla Villa Bellini, è stato spostato in teatro a causa delle avverse condizioni del tempo Il giorno dopo si è poi regolarmente svolto alla Villa il secondo concerto con l’Orchestra del Teatro Massimo di Palermo.
Ma procediamo con ordine. Per il concerto inaugurale è invalsa, ancora una volta, la formula del Gala lirico-sinfonico affidato alle cure direttoriali di Leonardo Catalanotto, alla guida dell’orchestra stabile del Bellini, il quale ha sostituito l’indisposto Fabrizio Maria Carminati. Solisti di canto il soprano Caterina Sala, il mezzosoprano José Maria Lo Monaco ed il tenore Ioan Hotea. Un Gala, di fatto, solo sulla carta, che si è rivelato piuttosto una sorta di vetrina per due giovanissimi interpreti in fase di maturazione artistica, Sala e Hotea, affiancati dalla più esperta e consapevole Lo Monaco, alle prese con un repertorio, quello belliniano, particolarmente ostico e che richiede oltre alle necessarie basi tecniche, capacità interpretative che è possibile raggiungere con costante impegno e frequentazione. Una scelta, quella del BIC, sicuramente apprezzabile nel voler valorizzare giovani promesse, ma forse non particolarmente appropriata per inaugurare in grande spolvero le celebrazioni in onore del Cigno catanese.
Le terribili pagine del Pirata (‘Nel furor delle tempeste’) e della Sonnambula (‘Tutto è sciolto’) sono state affrontate con grande impegno e freschezza vocale da Ioan Hotea così come ha fatto Caterina Sala cimentatasi nella grande aria e cabaletta dalla Sonnambula e poi in duetto con Hotea nella Sonnambula (‘Son geloso del zefiro errante’) e nei Puritani (’Vieni tra queste braccia’), evidenziando interessanti qualità vocali; ma era l’intervento di José Maria Lo Monaco a farci entrare convintamente nel mondo e nello stile belliniano con Norma (‘Sgombra è la sacra selva’) e Adelson e Salvini (‘Dopo l’oscuro nembo’) oltre che nel duetto de I Capuleti e i Montecchi, insieme alla Sala, interpretando un commovente Romeo, credibile e denso di una passione tutta giocata sulla parola e sul belcanto.
L’orchestra, dal canto suo, ha eseguito con eleganza e professionalità le sinfonie dal Pirata, dalla Beatrice di Tenda e la giovanile Sinfonia in mi bemolle maggiore, oltre ad un piccolo assaggio dell’altro compositore catanese (sia pure per caso), Giovanni Pacini, con la semisconosciuta Sinfonia de ‘Il falegname di Livonia’. La direzione di Leonardo Catalanotto risultava assertiva, a volte fin sopra le righe, ma tendeva comunque ad assecondare il ruolo celebrativo dell’amato Bellini.
Alla Villa Bellini, l’indomani, era poi la volta dell’Orchestra del Teatro Massimo di Palermo conquistarsi la scena con un concerto, intitolato Bellini Revolution’ anch’esso interamente dedicato al Cigno catanese, preponderantemente quello della maturità, accendendo però i riflettori su una grandissima interprete, una delle massime attualmente in circolazione, Jessica Pratt, mentre affidava il podio a Manuela Ranno, ottima bacchetta oltretutto in perfetta sinergia con il prestigioso complesso orchestrale. È stato un crescendo emozionale sapientemente collocato attraverso l’impiego delle grandi scene (recitativi, arie e cabalette) che accompagnano il cammino verso la fama imperitura del Cigno catanese, dalla Beatrice di Tenda ai Puritani, attraverso La straniera, la Norma e La sonnambula, inframmezzate dai trascinanti interventi strumentali che comprendevano la Sinfonia in re maggiore, il Capriccio e la Sinfonia dell’Adelson e Salvini.
La Pratt non è solo un soprano dalla voce fuori dal comune, è una grande interprete del repertorio belcantistico che trova in Bellini il suo apice. Acuti e sovracuti sgorgano dalla sua gola con una incredibile facilità e naturalezza di emissione; i fiati, limpidissimi, le consentono di piegare la voce a qualsiasi virtuosismo; abbellimenti a cadenze sempre appropriate arricchiscono ogni frase, per non parlare dell’intensità del suono in ogni singola parola fino a conferire al recitativo belliniano (oltre che alle arie) una vera e propria ‘anima’.
Alla fine non poteva mancare ancora un bis e senza risparmio alcuno, con la ‘polacca’ dei Puritani (‘Son vergin vezzosa’) che consegnava la serata al memoriale delle serate commemorative belliniane.