“Nozze di sangue” è il dramma dei desideri frustrati e della vita sconfitta cui Lorca risponde con il grido; un grido che non porta però a nulla finché la vita resterà ancorata alle antiche abitudini,
Chi, come lo scrivente, può annoverare una lunga frequentazione teatrale in particolare riguardo le passate stagioni del Teatro Stabile di Catania (oggi in sala Verga) ricorderà, forse, una memorabile edizione del dramma di Federico García Lorca andato in scena nel marzo del 1983. A dirigerlo era il compianto Roberto Guicciardini, storico fondatore del mitico ‘Teatro della Rocca’ ed in scena si poteva ammirare l’intero cast dello Stabile etneo, guidato da Ida Carrara affiancata da Mariella Lo Giudice; c’erano poi le immancabili Franca Manetti, Anna Malvica, Maria Tolu e Ileana Rigano e perfino Francesca Ferro, allora bambina. Tra gli attori maschi primeggiavano Maurizio De Razza e Aldo Reggiani. Le scene erano di Piero Guicciardini, i costumi di Titus Vossberg, le musiche di Dora Musumeci, i movimenti coreografici di Guido Guidi.
Abbiamo dovuto attendere ben quarantuno anni ed ecco finalmente tornare in scena Nozze di Sangue in una nuova versione, più moderna naturalmente, al passo con i tempi, con musica dal vivo, canti e danze (naturalmente di gusto flamenco), che ha potuto contare sul prestigioso adattamento e regia dello spagnolo Lluìs Paqual, profondo conoscitore della drammaturgia di Lorca. E poi, grande valore aggiunto la carismatica presenza dell’attrice Lina Sastri nella duplice parte della madre e della sposa (ma perché, poi?) in un sanguigno confronto di colori e umori spagnoli e partenopei.
In questa rappresentazione a tutto campo sembra insinuarsi anche il ricordo del teatro non di parola ma di danza del balletto ‘Bodas de Sangre’ di Antonio Gades (Carlos Saura ne trasse nel 1981 un celebre film con lo stesso Gades protagonista, insieme a Cristina Hojos e con le musiche di Emilio De Diego). La vicenda trae peraltro ispirazione da un fatto di cronaca, come ricorda Pasqual nelle sue note di sala: “Nel 1928, a pochi chilometri da Granada, in una campagna arida, durante una festa di matrimonio, la sposa fugge con un lontano parente. Lo sposo tradito li insegue e si finisce a coltellate e morti. La notizia appare sui giornali. Nella mente del poeta, questa storia vera ha fatto un viaggio profondo e scuro, e il suo racconto dei “fatti” (andato in scena cinque anni dopo), è diventato un urlo contro qualsiasi “convenzione” nel campo dell’amore e un grido di libertà nel seguire la passione che brucia due cuori e due corpi in una stessa fiamma”.
Nozze di sangue è il dramma dei desideri frustrati e della vita sconfitta cui Lorca risponde con il grido; un grido che non porta però a nulla finché la vita resterà ancorata alle antiche abitudini, alle regole di ancestrale sopravvivenza. È una tragedia asciutta, essenziale, quasi onirica, ben lontana dal naturalismo letterario di una verghiana “Cavalleria rusticana” (che ne ricorderà vagamente il tema) e che Pasqual in parte allegerisce con un approccio quasi da Musical drammatico.
La scena centrale, ideata da Marta Crisolini Malatesta (light designer Pascal Merat), un portico evocante quasi un simbolico pueblo messicano, è posposta rispetto ad una sequenza di sedie tipiche dei recital di flamenco; i costumi di Franca Squarciapino, severi e atemporali, ripropongono una vaga oleografia di gusto spagnolo. E poi le coreografie di Nuria Castejon i cui conseguenti passi di danza assecondano il canto (coordinato da Salvo Disca) e le musiche eseguite dal vivo da un affiatato trio composto dai chitarristi Riccardo Garcia Rubì e Carmine Nobile e dal percussionista Gabriele Gagliarini.
Lina Sastri domina la scena, col gesto, col canto e, soprattutto con la parola; suoi sono i due fondamentali monologhi, quello iniziale della Madre e quello finale della Sposa, con i quali viene polarizzata l’attenzione del pubblico nei confronti della grande interprete. Anche Alessandra Costanzo impersona, in autorevole contraltare, una pluralità di personaggi, la vicina, la suocera, la domestica e la vecchia. Giovanni Arezzo è lo sposo, Giacinto Palmarini è Leonardo, il vecchio amante della sposa e complice della disperata fuga d’amore a cavallo. Roberta Amato, Ludovico Caldarera, Elvio La Pira, Floriana Patti, Alessandro Pizzuto, Gaia Lo Vecchio e Sonny Rizzo completano, coralmente, il nutrito novero di personaggi.
Spettacolo intenso, breve (dura appena 70 minuti) che ci restituisce comunque, con equilibrato adattamento, il senso drammaturgico della vita del grande poeta andaluso.
Una produzione, oltretutto, frutto dello sforzo collaborativo del Teatro Stabile di Catania insieme al Teatro Stabile di Torino (Teatro nazionale), al Teatro di Napoli (Teatro Nazionale) e al Teatro di Palermo. Applausi!