Domenica 26 marzo alle 10.30, alla presenza dell'arcivescovo di Catania mons. Luigi Renna e di numerose autorità istituzionali, sarà riaperta al culto la Chiesa di Fleri, in territorio di Zafferana Etnea. Esattamente cinquantuno mesi dopo il terremoto di Santo Stefano che, in piena notte, all'indomani del Natale del 2018 colpì nove comuni del territorio etneo con uno schiaffo violento di 4,9 gradi della scala Richter. Non ci furono né morti né feriti né macroscopici crolli strutturali di edifici e case come invece in altre parti d'Italia in cui, poco prima, si erano registrati analoghi fenomeni sismici di rilevante entità. Tuttavia, quel terremoto ha lasciato in alcune comunità del territorio segni di lacerazione ancor più profondi delle gravi lesioni occorse ad opere murarie e pareti divisorie interne alle abitazioni.
A Fleri, ad esempio, si è cancellato un pezzo della comunità. Fra cessazione di attività commerciali che mai più ripartiranno, abbandono di case di proprietà per inagibilità e delocalizzazione in altri siti di ulteriori abitazioni per effettuare altrove la ricostruzione in sicurezza, adesso il volto della via Vittorio Emanuele, la strada principale del paese, è spettrale. Così pure a Poggiofelice e a Pisano, altre due frazioni popolose del territorio di Zafferana Etnea. Diverse famiglie sono andate via per sempre. La ridente cittadina etnea famosa per la sua Ottobrata, Acireale e Aci Sant'Antonio sono stati i centri che hanno subito proporzionalmente più danni da quel terremoto del 2018.
La parrocchia Santa Maria del Rosario, comunemente intesa come la Chiesa di Fleri, ha da sempre rappresentato un luogo di aggregazione dell'intera comunità locale. Un luogo di culto, è vero. Ma anche un grande contenitore di relazioni umane, sociali e familiari. Lo era anche nell'ottobre del 1984 quando due scosse di terremoto in meno di una settimana (una del settimo, l'altra dell'ottavo grado della scala Mercalli) schiaffeggiarono violentemente quel territorio, provocando rilevanti danni un po' ovunque ed anche alla Chiesa vecchia. L'edificio religioso – per intenderci – in cui, dietro l'altare principale, laddove un tempo c'era un pozzo nella casa canonica vennero custodite per una lunga estate, tra maggio e settembre del 1943, le reliquie di Sant'Agata, patrona di Catania.
La chiesa nuova, progettata dal prof. Ugo Cantone, già preside della facoltà di Architettura all'università di Catania, venne inaugurata nel 1990; quella vecchia, a fianco, venne successivamente ristrutturata e adibita a salone parrocchiale per attività culturali. La notte di Santo Stefano del 2018 la sberla violenta dell'evento sismico ha buttato giù il campanile della vecchia chiesa (al momento inagibile) e ha provocato alcune lesioni alla canonica anche nella chiesa nuova.
Per riprendere l'edificio costruito negli anni ‘90 e renderlo nuovamente funzionale sono state utilizzate le somme derivanti da una polizza illo tempore stipulata dall’arcidiocesi di Catania con una compagnia assicurativa. La chiesa nuova che sarà riaperta la prossima domenica è stata ripresa senza accedere dunque ai fondi della ristrutturazione per gli edifici pubblici e religiosi.
La riapertura al culto della chiesa farà ripartire a pieno regime tutte le attività pastorali della parrocchia guidata da mons. Alfio Russo che in questi lunghi anni sono state svolte, con non poche difficoltà logistiche, all'interno dei locali di Casa Dusmet, messa a disposizione dell'arcidiocesi.
L'auspicio di molti è che questo sia l'incipit di una nuova stagione di riaggregazione sociale e comunitaria, dato che più dei danni alle case e agli edifici pubblici è questo il lascito più pesante del terremoto di Santo Stefano.