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Stabile: Un ispettore generale più che buffo

2025-03-03 10:22

Aldo Mattina

Cronaca, Spettacoli, Attualità, Focus,

Stabile: Un ispettore generale più che buffo

Al Verga successo del teatro russo ottocentesco. Grande protagonista una star del nostro cinema Rocco Papaleo. Il testo riadattato da Leo Muscato anche regista

 

     Alla Sala Verga, per la stagione di prosa 2024/25 del Teatro Stabile di Catania, è stata la volta di un grande classico del teatro russo ottocentesco, ‘L’ispettore generale’ di Nikolaj Gogol. Produzione ospite frutto di una nutrita coproduzione fra Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile di Torino Teatro Nazionale e TSV – Teatro Nazionale. Il corposo testo, originariamente in cinque atti, è stato adattato e ridimensionato in un unico atto della durata di un’ora e quaranta minuti da Leo Muscato che ne ha curato anche la regia. Protagonista una star del cinema italiano, Rocco Papaleo.

    La vicenda è ambientata in una sperduta cittadina nelle vaste e scarne campagne della Russia zarista (il testo fu rappresentato a S. Pietroburgo nel 1836) e punta i riflettori sul diffuso malaffare dei politici, sulla disonestà dei rappresentanti istituzionali, magistrati, mercanti, ispettori scolastici, su tutto il marcio del potere che prevarica ed angaria i più deboli pronti, anche questi ultimi, alla delazione o alla sottomissione pur di sopravvivere.

     Così la fibrillazione della cittadina, scossa e spaurita all’annuncio dell’arrivo di un Revisore di conti (sarebbe infatti ‘Il revisore’ la più corretta traduzione della commedia di Gogol) mandato dallo Stato centrale per controllare l’amministrazione locale, può fare il paio con l’odierno timore per una imprevista visita della guardia di finanza. Tutti pronti a corrompere, a usare ‘mazzette’ per ‘ammorbidire’ le possibili inchieste.

    Lo spunto comico utilizzato da Gogol’ è l’equivoco: uno squattrinato giovane impiegato di passaggio, insieme al suo servo, viene scambiato per l’ispettore generale; ecco che scattano i tentativi di corruzione, il Podestà  lo accoglie in casa e lo coccola, tutti gli fanno dei sontuosi ‘prestiti’; pur non comprendendo il perché, il giovane ci mette poco ad approfittare della situazione, arraffando denaro da tutte le parti e cercando di concupire la moglie e la figlia del Podestà (peraltro compiacenti, specie la prima), prima di filarsela di gran fretta con il ‘malloppo’ e con la promessa di un matrimonio con la figlia del Sindaco.

    La scena finale è il capolavoro dello stravolgimento dei termini in una colossale e grottesca  festa che vede gli imbroglioni sconfitti ed imbrogliati a loro volta. Una comunicazione in extremis annuncia , oltre tutto, l’arrivo del ‘vero’ ispettore generale. E’ una tecnica tipica di Gogol’ che riserva sempre, alla fine delle sue commedie, il colpo di scena moralistico con cui capovolge lo svolgimento dell’intero lavoro.

      La graffiante satira del capolavoro russo, che sfocia nel colorito grottesco, è stata traslata da Muscato con più sanguigna e nostrana verve buffonesca, pur mantenendo una opportuna collocazione ispirata ad una vaga ‘ricostruzione’ russa, con abiti fantasiosi (costumi di Margherita Baldoni) ma chiaramente allusivi ad una certa oleografia russa. La scena girevole, grigia e fredda, si trasformava velocemente a vista tra interni ed esterni (scene di Andrea Belli) ed anche le musiche (di Andrea Chenna) attingevano ad una vaga e folkloristica letteratura musicale russa. Luci di Alessandro Verazzi e foto di scena di Tommaso La Pera.

     A reggere l’intera matassa era il Podestà, delineato con autorevolezza da Papaleo; era lui a dettare i tempi comici, assecondato dal Chlestakov (il finto Ispettore) di Daniele Marmi, debordante verso una resa a volte quasi fantozziana, cui poneva argine il servo Osip di Giulio Baraldi. La varia umanità di piccoli corrotti di provincia faceva da colorito corollario; erano Alena Aimone, Letizia Bravi, Marco Brinzi, Michele Cipriani, Salvatore Cutrì, Marta Dalla Via, Marco Gobetti, Michele Schiano di Cola e Marco Vergani.  

      Spettacolo lieve, divertente, che strappa il riso fra le pieghe della vicenda tragicomica, ma che non esalta più di tanto la drammaturgia del grande Gogol.