Un uomo “innamorato” che prende a schiaffi una donna, o le dà pugni o le tira pedate addosso. Questa è violenza di genere. E quando ne abusa fisicamente e sessualmente senza il suo consenso, con la forza o manipolandola. Anche quella è violenza. Se la aggredisce verbalmente insultandola, inveendole contro, scaricando un mare di parole tossiche come fosse una raffica di mitra, beh non c’è dubbio che anche in questi casi si è in presenza di violenza. L’elenco potrebbe continuare, ahinoi, ampliando a dismisura lo spettro delle forme di violenza, senza derubricarle sbrigativamente a scatti d’ira, ad eccezionali momenti in cui si è persa la testa, ad impeti di passione, ad eccessi di conflittualità.
Il conflitto è una cosa, è un aspetto fondamentale del dialogo e delle relazioni. È come il sale o lo zucchero dei rapporti amicali, amorosi e sociali. La violenza è però un’altra cosa, anche perché molto spesso è continuativa, multiforme e in crescendo. In generale, alla base contiene in sé una pericolosa misconcezione del prossimo, quasi l’altra parte fosse un essere inferiore; nel caso specifico della violenza sulla donna, è un piatto scagliato contro l’altra parte e contaminato dalla sostanza più tossica in circolazione, ancora più pericolosa delle droghe: l’amore per il potere, che amore non è, perché è ossessione, dipendenza, schiavitù.
Cambiando l’ordine dei fattori però qualche volta il prodotto cambia. Spostando il termine potere prima dell’amore, la potenza dell’amare diventa una cosa ben diversa. È libertà liberante, come la chiama qualcuno, perché libera da paure, angosce e dal senso di inadeguatezza. Ma diventa pure libertà generativa, perché contiene in sé il germoglio di cose belle che potranno accadere ma che non si conoscono a priori. Semi che faranno crescere belle piante, ghiande dalle quali si innalzeranno alberi dalle chiome folte e dalle radici profonde.
Ma non c’è solo violenza fisica e sessuale. C’è quella psicologica ed anche economica; quest’ultima, ad esempio, crea dipendenza finanziaria della donna dall’uomo padrone. Secondo la Global Thinking Foundation, al centro di tutto c’è una costante di atteggiamenti e comportamenti maschili finalizzati all’isolamento, alla manipolazione e al controllo della donna. La violenza diventa spesso una spirale, si moltiplica, contagia e dilaga se non si pone fine subito a queste disfunzionalità.
Ad esempio, è una forma di violenza anche il controllo ossessivo dell’uomo su tutto ciò che la donna fa, con chi interagisce, dove va, e oggi con i social media, su cosa pubblica, con chi si fa fotografare. Oppure farle paura con pressioni psicologiche: azioni e gesti diretti per spaventarla prima e farle venire sensi di colpa dopo. In presenza di figli, ci sono pure le minacce di andarsene da casa, di portarle via la prole. Nel caso in cui una donna si è già mossa rivolgendosi alle forze dell’ordine o alla giustizia, spesso l’uomo la costringe a ritirare la denuncia. Se ci sono stati episodi di violenza fisica, un’altra forma di violenza è quella di banalizzarli spostando la responsabilità sulla vittima. “In fondo, te la sei cercata”, di solito, è la frase killer con cui una donna viene messa al muro e colpevolizzata, quando è lei ad essere vittima e non carnefice.
In una escalation di abusi, costrizioni e forme di sottomissione, la Global Thinking Foundation elenca anche altri comportamenti, come ad esempio, costringere la donna a lavori umili, non farla lavorare, non farla studiare, oppure escluderla dalle decisioni familiari, causandole dipendenza finanziaria dall’uomo. Se non addirittura, lasciando sulle sue spalle, quando la donna lavora e ha una sua autonomia, il peso di debiti incoscientemente contratti dall’uomo e che poi finiranno per gravare sul bilancio familiare, ma l’uomo già si sarà dileguato.
Come arginare questo fiume di violenze?
Se ne è discusso ieri, in un interessante e partecipato incontro dal titolo #GenerazioneRibelle, promosso dall’hair designer Salvo Filetti a Catania presso l’Accademia JoyHub di Compagnia della Bellezza, insieme al centro antiviolenza Thamaia che opera nella città etnea dal 2001. Eccezionale il parterre di ospiti. Toccante il momento in cui l’attrice Donatella Marù ha letto la poesia «Se domani tocca a me, voglio essere l’ultima» della peruviana Cristina Torres Caceres.
Ciascuna delle donne intervenute ha offerto uno spunto interessante di riflessione. Per la “Cantantessa” Carmen Consoli, ad esempio, bisogna contrastare la non-cultura dilagante della violenza ritornando alla cultura vera, all’arte, alla lettura dei libri di filosofia, alla musica, alla poesia quasi a voler irrobustire le difese immunitarie umane per sviluppare gli anticorpi contro la violenza. Per la scrittrice Elvira Seminara, bisogna porre un freno al dilagare di un linguaggio che incita alla violenza, la osanna, come è riscontrabile nei testi dei cantanti trap che piacciono tanto ai giovani e ai giovanissimi. Per la stilista e consulente d’immagine Susanna Ausoni, bisogna ripartire dalla sacralità della libertà e dell’indipendenza, due valori irrinunciabili per le donne anche quando si vestono, si pettinano, curano la propria immagine.
Salvo Filetti, il padrone di casa, ha invece esortato gli uomini all’indignazione, non soltanto con le parole che finora sono mancate, ma con i fatti e le azioni e ha auspicato che solo con un moto ondoso di ribellione delle donne il fenomeno della violenza si possa arginare. Prima di lui Salvo Noè, psicologo e psicoterapeuta, ha suggerito alle donne di far partire questa ribellione trasformando le emozioni in azioni, perché la speranza ha due figli: una è l’indignazione, l’altra è il coraggio.
Per Sarah Spampinato, imprenditrice nel settore degli eventi, l’indipendenza lavorativa e finanziaria della donna è una conquista sociale importante e costituisce il deterrente più forte per arginare sul nascere anche le più assurde pretese degli uomini ossessivi. Valeria Raciti, chef e blogger, ha invece puntualizzato l’importanza di cominciare all’interno dei nuclei familiare a ricostruire nella donna la consapevolezza che si deve essere felici prima di ogni cosa, e che modelli stereotipati di vita di famiglia, anche se portatori di principi e valori sani, non sono sufficienti da soli a liberare il grande potenziale generativo delle donne. Per Maddalena Filetti, story editor nel mondo della produzione cinematografica, si aggiunge violenza a violenza anche con le parole, con le narrazioni sbagliate, con la pornografia del dolore dopo episodi forti, come i femminicidi. Dunque, bisogna partire già dalle agenzie educative primarie per promuovere codici di linguaggio più inclusivi e rispettosi delle diversità di genere.
La prima delle tre tavole rotonde dell’evento #GenerazioneRibelle è stata dedicata alle risposte che le istituzioni possono dare per arginare il dilagante e multiforme fenomeno della violenza di genere.
Per Rosalba Recupido, presidente della III sezione penale del Tribunale di Catania, la risposta è doppia: normativa, con un affinamento delle leggi dirette a tutelare la donna e a rispondere tempestivamente ai reati di violenza; giudiziaria, velocizzando e rendendo spedito l’iter processuale, anche per rendere più efficaci le misure di protezione delle vittime di violenza ed evitare di esporre queste ultime ad ulteriori successive violenze. Nunziella Di Fazio, direttrice della casa circondariale di Piazza Lanza, ha posto l’accento su un ulteriore aspetto. Oltre alle azioni educative che tutte le istituzioni in sinergia devono effettuare per arginare in modo sistemico un fenomeno dilagante, bisogna rafforzare la funzione rieducativa del carcere per restituire alla società uomini che, una volta finita la pena da scontare, abbiano la consapevolezza, anche culturale, del rispetto delle donne.
Per Anna Agosta, presidente del centro antiviolenza Thamaia, bisogna attivare tutti i canali di ascolto e di assistenza per proteggere e tutelare le donne vittime di violenza. Con gli uomini violenti, ad esempio, i ponti vanno spezzati subito prima che la violenza arrivi all’apice del femminicidio. Ma siccome le forme di violenza sono tante, variabili anche nell’intensità con cui si manifestano, bisogna agire simultaneamente su tutti i fronti ed attivando tutti gli strumenti di protezione della donna. Come, ad esempio, quelli diretti a restituirle autonomia economica e finanziaria, vedi il microcredito e il reddito di indipendenza, come ha rilevato la presidente del comitato pari opportunità dell’Ordine dei commercialisti di Catania Simonetta Murolo e come hanno puntualizzato in un video le sue colleghe rappresenti delle pari opportunità anche in altri Ordini professionali cittadini: Denise Caruso (Ordine degli Avvocati), Melania Guarrera (Ordine degli Architetti) e Maria Stella Portelli (Consiglio Notarile)
Si esaurisce qui l’elenco delle violenze commesse nei confronti della donna?
Alla fine dell’evento #GenerazioneRibelle, il padrone di casa Salvo Filetti ha dato parola ad Enza Marchica, presidente dell’associazione Il Filo della Vita, con cui l’hair designer ha collaborato in alcune iniziative sociali per restituire bellezza a quelle donne, colpite da tumore, che hanno dovuto affrontare il lungo calvario della diagnosi della malattia, degli interventi chirurgici e delle lunghe cure chemioterapiche.
Anche nei loro confronti gli uomini sono capaci di un’altra orribile forma di violenza: l’indifferenza prima e l’abbandono poi, fino a lasciarle da sole a combattere psicologicamente e non solo fisicamente una durissima battaglia contro la malattia.