Il bene nel male, ha cantato Madame all’ultimo festival di Sanremo. Ma se titolassimo così, non renderebbe bene il senso della storia che stiamo per raccontarvi. Invece la chiamiamo il dolce e l’amaro. Come ogni storia che ha a che vedere con le carceri italiane e i programmi di riabilitazione, lascia sempre un po’ d’amaro in bocca anche dopo aver provato la bontà di un sapore dolce.
Annalisa Pompeo ama la sua Sicilia e alcuni anni fa ha deciso di abbandonare il lavoro di consulente che faceva per occuparsi di cibo e valorizzazione della sua terra. L’ha fatto in modo innovativo a Favara dando vita a GoSicily, una iniziativa imprenditoriale dalle mille sfaccettature che punta sull’esperienza della cucina. Sia quando è lei ad ospitare a Favara i turisti stranieri facendoli cimentare con le ricette siciliane della tradizione, sia quando invece si reca personalmente almeno una volta l’anno negli Stati Uniti, entrando nelle case dei siculo-americani e spiegando loro come si maneggia il cibo siciliano ai fornelli.
Adesso invece, Annalisa ha portato la buona cucina nelle carceri. “Voglio ringraziarti per il tutto ciò che sei riuscita a trasmettermi e a donarmi. È proprio vero che non è la quantità del tempo ma la qualità del tempo che si passa con le persone” – le ha scritto una detenuta, ospite della casa circondariale Petrusa di Agrigento, il cui personale penitenziario e l’amministrazione Annalisa Pompeo non si stancherà mai di ringraziare per la straordinaria esperienza di vita.
Dai corsi di cucina per gli stranieri ad iniziative similari per le detenute ospiti degli istituti penitenziari agrigentini. Raccontaci questa nuova esperienza e nell'ambito di quale progetto è maturata.
Mi sono ritrovata, per caso, a vivere una delle esperienze più affascinanti della mia vita. A fine ottobre dello scorso anno, mi arriva una chiamata da una mia parente, che mi dice: “Annalisa, un ente di formazione, sta cercando un docente di pasticceria per un corso. Io ho pensato a te, ma non so se ti può interessare, perché il corso si farà in carcere ed esattamente al Petrusa di Agrigento". Appena ho sentito la parola carcere, ho detto subito di sì.
Così, subito e senza tentennamenti?
Sin da ragazzina nutrivo il desiderio di fare qualcosa per i carcerati, dopo che alla scuola media si era organizzata una raccolta libri, nel periodo di Natale. Prima mi avevano coinvolto nella distribuzione, e poi, per ragioni di "sicurezza", avevano preferito non mandarmi a consegnare i libri all’istituto penitenziario. Da quel giorno, ogni qual volta facevo la strada che collega Favara ad Agrigento, ho visto quell'edificio in maniera diversa. E così, dopo tutti questi anni, mi si è presentata una grande opportunità, ma mai avrei potuto immaginare come questa esperienza mi avrebbe toccato.
Da docente, quale interesse hai riscontrato da parte di queste donne in carcere?
La prima cosa che mi ha colpito è la fragilità umana e il grande senso di amicizia e rispetto tra le detenute. Lì dentro, non importa da quale estrazione sociale o Paese provieni, quali o quanti reati hai commesso. Si è insieme ed insieme si affronta la vita (non proprio facile) del carcere, sostenendosi a vicenda. Il corso di pasticceria, organizzato dalla società benefit Promimpresa, è stata una parentesi molto positiva per le detenute, che hanno potuto "evadere" per qualche ora, apprendendo tecniche base, in classe prima e in cucina dopo, allo scopo di realizzare pasticcini, pan di spagna, meringhe, e via dicendo. È stata anche una occasione per degustare quel ben di Dio che sovente non possono cucinare o avere in cella.
Come è stato organizzato il lavoro didattico?
Ho avuto due classi ed in entrambe, tutte le detenute hanno collaborato in maniera entusiasmante, scrivendo ricette con le penne BIC nei loro quaderni, in due versioni differenti: una per realizzare il dolce in cella e l'altra " per quando saranno a casa", dato che la possibilità di preparare cibi in cella è molto limitata. Questa frase "per quando usciremo" mi ha colpito non poco, perché in molte di loro ho potuto notare la voglia di riscatto, la consapevolezza di pagare per un reato commesso ma anche quella di avere capito che si possono superare gli ostacoli e le sfide che la vita presenta, rimanendo nella legalità.
Cosa ti porti a casa da questa esperienza?
Mi porto il suono delle chiavi delle assistenti che aprono e chiudono le celle, il suono della voce delle detenute che chiamano "Assiiii" per chiedere di andare in bagno o per salire in cella, ma soprattutto mi porto i loro sguardi, i loro cuori pieni di speranza nel futuro, i loro disegni e le loro lettere pregne di affetto.
È vero che queste donne hanno paura di sentirsi da sole, una volta che - ottenuta di nuovo la libertà - torneranno a casa e proveranno magari a trovarsi un lavoro?
Purtroppo, è così! Alcune di loro hanno una famiglia che le sostiene anche durante la detenzione e la stessa le aiuterà una volta uscite dal carcere. Per altre invece non sarà così, perché non solo non avranno sostegno familiare (ci sono casi in cui è la stessa famiglia a portarle sulla cattiva strada) ma la possibilità di trovarsi un lavoro è già una partita persa, in quanto ex-carcerate. Qui fuori c' è ancora molto pregiudizio.
La tua attività di promozione del "made in Sicily" culinario come procede? Sei stata ultimamente negli Stati Uniti? C'è sempre grande interesse dei Nordamericani verso la Sicilia, la nostra terra e la sua cucina?
La mia attività procede bene e quotidianamente cerco di promuovere la mia terra, le sue eccellenze e le sue tradizioni, attraverso i miei corsi di cucina (anche online), i progetti con le scuole, i food tours tra i produttori locali e i borghi. È sempre una bella soddisfazione condividere con i visitatori stranieri e non solo la Grande Bellezza della nostra “Sicilia Beddra” ed in particolare della provincia di Agrigento e Caltanissetta, dove sono maggiormente concentrate le mie attività.
“Sei stata la nostra forza. Ci hai fatto venire la voglia di andare avanti entro queste quattro mura”, scrivono ad Annalisa due altre detenute del Petrusa.