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Meritati applausi per "I Capuleti e Montecchi". Così al "Bellini" si celebra il Cigno

2022-09-24 17:34

Aldo Mattina

Cronaca, Spettacoli, Attualità, Focus,

Meritati applausi per "I Capuleti e Montecchi". Così al "Bellini" si celebra il Cigno

Abbiamo assistito ad una esecuzione in cui tutte le voci, e per giunta piuttosto giovani, hanno offerto una prova al di sopra della media

    Il cuore delle celebrazioni belliniane culmina sempre nel giorno anniversario della morte, il 23 settembre. Così anche quest’anno si attendeva la data in cui il Teatro Massimo Bellini onora il suo cigno con un nuovo allestimento d’opera. Ed è stata la volta de ‘I Capuleti e i Montecchi’ ad arricchire il cartellone del Bellini International Context.

Un nuovo allestimento che portava la firma di Gianluca Falaschi, in quanto a regia, scene e costumi, mentre sul podio è stato Fabrizio Maria Carminati a concertare e dirigere l’orchestra e il coro (istruito con cura da Luigi Petrozziello) dell’ente etneo (nella replica del 25 settembre gli subentrerà Yuki Yamasaki).

Tutti sanno come sia sempre difficile allestire un’opera di Bellini a partire, soprattutto, dalla scelta delle voci. C’è anche chi arriva a sostenere, aprioristicamente, che non essendoci più ‘le voci di una volta’ non si può che restare delusi da ogni nuovo ascolto. Ebbene, il cast presente nell’edizione catanese ha smentito nei fatti tale assunto! Abbiamo assistito, infatti, ad una esecuzione in cui tutte le voci (e per giunta piuttosto giovani) hanno offerto una prova al di sopra della media. Il soprano spagnolo Ruth Iniesta ha conquistato la scena con una interpretazione sicura e credibile, sfoggiando una tecnica vocale di prim’ordine messa al servizio di un mezzo luminoso e ‘facile’ in tutti i registri, fino ai sovracuti più impervi emessi con estrema disinvoltura. La cura con cui si soffermava attentamente sull’agogica suggerita da Bellini rendeva il personaggio di Giulietta umanissimo, financo nella sofferenza della sua duplice condizione di figlia sottomessa al potere patriarcale e di infelice amante. Il suo innamorato Romeo, giustamente restituito alla corda di mezzosoprano voluta dall’autore, rappresenta un ruolo di grande difficoltà; Chiara Amarù, forte della sua dimestichezza con il belcanto rossiniano, pur affrontando per la prima volta il personaggio (come peraltro la stessa Iniesta) ne ha centrato lo stile dimostrando come la tecnica ed il buongusto esistano ancora e siano essenziali per superare ogni difficoltà. Marco Ciaponi ha eseguito un Tebaldo non solo spavaldo e guerriero ma anche tenero innamorato, sfoggiando acuti estremi senza alcun timore ma, soprattutto, un fraseggio variegato che arricchiva, con mezzevoci e sfumature, il carattere del personaggio; frutto, evidentemente, delle indicazioni agogiche volute dall’autore, anche a dispetto di una presunta frustrazione o titubanza suggerita dalle indicazioni registiche (che lo costringeva continuamente ad attingere alcool da un borraccino…). Perfettamente in parte anche il Capellio di Antonio Di Matteo ed il Lorenzo di Guido Loconsolo.

     Gran merito sulla resa musicale complessiva va ascritto, evidentemente, a Fabrizio Maria Carminati il quale, utilizzando sicuramente la revisione critica della partitura Ricordi, dovuta a Claudio Toscani, ha restituito allo strumentale belliniano quella cura e quelle nuances che, in  un non lontano passato, sono state fin troppo trascurate; frutto evidentemente, oltre che di competenza anche di un ‘innamoramento’ per Bellini che appare sempre più chiaro. Il risultato è evidente: un raggiunto equilibrio tra le esigenze della moderna musicologia e la capacità (fors’anche la libertà) dell’interprete di assecondare la prassi esecutiva anche dei cantanti (come appare evidente nel finale I e, ancor più, nelle variazioni della seconda strofa delle cabalette e conseguenti puntature). Coro in grande spolvero, che in diverse circostanze assume dimensione protagonistica, ed orchestra di strepitosa duttilità con, in più, l’esaltazione di momenti solistici che Bellini ha regalato, al corno, al violoncello, al clarinetto, all’arpa…

La regia di Gianluca Falaschi ha trasportato la vicenda in un Ottocento grigio e incombente con una casa Borghese protagonista ‘altra’ dell’infelice storia d’amore dei due adolescenti, soffocata dalla rigida morale delle famiglie contendenti. Scene e costumi scuri (tranne il candido bianco di Giulietta) rendono particolarmente opprimente l’ambiente movimentato al momento dello scontro tra le due famiglie e relative barricate. Non manca la solita ‘proiezione psicologica’ delle paure e dei fantasmi di Giulietta, anche in antefatto durante la Sinfonia a scena aperta. Qualcosa di ‘moderno’ che, in fondo, è un deja-vu.

Successo e applausi convinti del pubblico presente in teatro con, in più, la diretta televisiva della Rai.